Monday, January 22, 2007

Stephen King
La storia di Lisey
traduzione di Tullio Dobner
Sperling & Kupfer
pagg 620, € 18,00

La storia di Lisey è, nella ormai sterminata produzione kinghiana, un’opera di conferme: chi ama lo scrittore del Maine vi ritroverà alcune delle sue tematiche fondanti; chi è convinto che il suo maggior pregio stia nell’umanità dei personaggi ancora prima che nelle invenzioni orrorifiche leggerà il romanzo con piacere, e chi l’ha sempre criticato per i suoi eccessi sarà ugualmente accontentato.
Nonostante lo stesso King sottolinei al lettore che la protagonista, moglie di un autore di best-seller deceduto, Scott Landon, non è un alter ego di Tabitha, la propria consorte, è impossibile non leggere la storia come un affettuoso omaggio alla donna che da anni vive all’ombra dello Scrittore Venerato e il cui ruolo nella sua vicenda personale è invisibile al lettore. In Lisey compare anche, come già in Misery, il tipico fan la cui adorazione sconfina nel delirio, ed è il motore della storia, in uno spunto peraltro un po’ pretestuoso. Il tema portante del romanzo è proprio la follia, che prende varie forme: il demone radicato nella storia familiare di Scott, l’alienazione di Amanda, sorella di Lisey, il fanatismo e il feticismo intellettuale. Alla scrittura, e all’amore, viene attribuito l’unico potere salvifico in grado di contrastarla.
Come nel più classico King, il lato oscuro si materializza, stavolta non in una metà oscura, ma in un intero mondo parallelo che è il rifugio, non solo metaforico ma addirittura fisico e tangibile, di Scott. Un luogo di grande bellezza ma che, in quanto proiezione della mente, diventa pericoloso quando cala il buio... Qui Lisey dovrà seguire le tracce lasciate dal marito defunto per scrivere l’ultima parola della propria storia.
L’eccesso tipico di King rende imperfetto il romanzo, che non manca di tempi morti e che spesso sfiora il kitsch (il ricorrente linguaggio privato di Scott e Lisey risulta imbarazzante). Ma è un eccesso che deriva dalla generosità dello scrittore, il quale nei romanzi dà, e non è un luogo comune, tutto se stesso, rendendoci voyeur di un processo creativo che consente reinterpretazioni ma non finzioni.

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