Wednesday, December 5, 2012


Mark Haddon
La casa rossa
Traduzione di Monica Pareschi
Einaudi
Pagine 280, € 19,50

Sette giorni nell’isolata dimora di campagna inglese che dà il titolo al libro, due nuclei famigliari imparentati ma che si conoscono poco. Quattro adulti e quattro ragazzi: Richard, padrone di casa e rispettato medico e la sua infelice sorella Angela, la di lui neo-moglie Louisa con la provocante figlia Melissa, il debole marito di Angela, Dominic, e i loro figli, gli adolescenti Daisy e Alex e il piccolo Benjy.
Haddon, famoso per Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ne abbandona qua la linearità per intessere un’opera complessa. Presente e flusso di coscienza, pensieri e dialoghi, estratti di libri letti, elenchi di oggetti, luoghi reali e atmosfere. L’autore alterna i punti di vista dei personaggi, ciascuno alle prese con le proprie paure e angoscie, sia che scaturiscano da un lutto, da un errore, da una crisi di identità, da un conflitto o dal semplice dover crescere – e l’unico di loro a godere ancora dell’infantile spensieratezza sta per scoprire anch’egli l’inquietudine di vivere. Gli otto prima si studiano, ognuno chiuso nel proprio universo, poi entrano in contatto reciproco, cautamente, e anche la narrazione si fa un po’ più corale. Non ci sarà una grande catarsi finale, ma ciascuno di loro uscirà trasformato da questa settimana.
A chi si chiede a cosa serva (ancora) la narrativa, un gioiello come La casa rossa fornisce una degna risposta. Haddon esplora otto vite come tante e, grazie al potere che solo il ruolo “divino” del narratore onnisciente può donare, rivela l’unicità del dramma umano nascosta in ciascuna di esse. Si tratta di un romanzo ambizioso, che evoca la poesia dal prosaico e dal quotidiano e che con la sua struttura frammentaria stimola intellettualmente il lettore. Lo stile può inizialmente sembrare artificioso, ma Haddon sa quel che fa, e ben presto ci troviamo coinvolti nel racconto di queste esistenze come se ci riguardassero da vicino.

Thursday, October 11, 2012


Sara Levine
L’isola del tesoro!!!
Traduzione di Claudia Valeria Letizia
e/o
Pagine 200, € 18

Venticinque anni, indecisa cronica e abituata a lasciarsi portare dalla corrente, la protagonista (senza nome) de L’isola del tesoro!!! scopre il libro di Stevenson e cambia la propria vita. Usandolo come una sorta di manuale self-help, la ragazza adotta una nuova filosofia improntata ad audacia, risolutezza, indipendenza (e battersi la grancassa). Ottimo, no? No, perché in realtà la nostra non fa che regredire a uno stato adolescenziale improntato all’egomania e all’autoillusione, convinta di aver ampliato la propria coscienza ma in realtà incapace di prendere atto della realtà che la circonda e tantomeno delle motivazioni altrui. E d’altronde, cosa dobbiamo pensare di una narratrice (in prima persona) che esordisce così? “Sulla scia dell’avventura che ho vissuto, ho deciso di scrivere tutto ... senza tenermi dentro niente, neanche i nomi di amici e parenti che mi hanno afflitto con i loro problemi.” A queste parole segue, sulla pagina, un’illustrazione che mostra come il tratto della penna usata sia migliorato dopo che lei l’ha agitata scaldandone l’inchiostro.  
Si ha appena il tempo di domandarsi se si tratti dell’ennesima collezione di stravaganze “carine”, che il romanzo della Levine ha già conquistato il lettore con il suo fascino ispido. Sorta di parodia del romanzo di formazione (quale è il classico stevensoniano), vede la sua idiosincratica protagonista, invece di evolvere, perdere ciò che ha: un lavoro, la vita di coppia, l’indipendenza dai genitori, l’amica più cara. Ma a cosa servono queste cose quando nella propria mente si è un’avventuriera che vive ogni giorno al massimo, rendendo più nobile il proprio animo? 
La Levine, insegnante di scrittura creativa alla sua opera prima, è sapiente nel disseminare, tra un episodio buffo e una metafora stramba, indizi sulla personalità disturbata della sua anti-eroina (un modello femminile in negativo molto moderno e in controtendenza con gli stereotipi della letteratura rosa, ma in sintonia con certo cinema statunitense). Una scrittura solo apparentemente casuale e ingenua, che rivela un’autrice da tenere d’occhio.

Saturday, August 11, 2012


Anne Tyler
Guida rapida agli addii
Traduzione di Laura Pignatti
Guanda
Pagine 220, € 15

Attenti agli alberi. Tendono ad ammalarsi e potrebbero abbattersi sulla vostra casa quando meno (ovviamente) ve lo aspettate. Per una spaventosa coincidenza, è proprio un albero malato a uccidere Dorothy, moglie del trentaseienne Aaron, editor di una piccola casa editrice specializzata in “Guide rapide” ai più svariati (e specifici) argomenti. Il vuoto lasciato da questa donna “unica”, come la ricorda lui, schietta e senza fronzoli, è improvviso e incolmabile. Colleghi, vicine di casa e una sorella, tutti si adoperano per aiutare Aaron ad attraversare il periodo di lutto. Ma soprattutto, a comparire inattesa al suo fianco, sarà proprio Dorothy, per riallacciare con difficoltà un dialogo interrotto o forse mai davvero avvenuto in vita.
Anne Tyler è una garanzia: in ogni suo romanzo possiamo attenderci storie che attingono a piene mani nella vita reale, senza concessioni a tematiche alla moda o a vuoti esibizionismi stilistici. Ogni esistenza, anche la meno spettacolare, offre avvenimenti sensazionali, sentimenti unici, punte di vera poesia; la Tyler lo sa bene, tanto che ne ha fatto la sua filosofia di narratrice. In Guida rapida agli addii ritroviamo il suo caratteristico gusto per il dettaglio e il suo umorismo quieto ma pungente. Il dolore che Aaron prova non è mai palesato apertamente e non diventa mai melodramma; anzi, il neovedovo non perde il suo senso dell’ironia quando si accorge che amici e famigliari arrivano a evitare parole come “moglie” per non turbarlo. Il romanzo è in un certo senso una versione light di Turista per caso – non a caso torna la tematica delle “guide alla vita” –, meno profonda e con l’aggiunta di un inedito elemento soprannaturale, che tuttavia non diventa mai lezioso né prevarica il realismo della storia. Al centro, l’imperfezione dei rapporti umani. 
Non è il libro che si consiglierebbe a chi non ha mai letto niente della scrittrice statunitense, ma una lettura comunque intelligente e godibile.

Thursday, June 14, 2012


Annalena McAfee
L’esclusiva
Traduzione di Marta Matteini
Einaudi
Pagine 390, € 21

Londra, 1997: il momento in cui Internet sta per emergere cambiando il mondo dell’informazione (e appena prima della morte di Lady D). Honor Tait è un’ottuagenaria gloria del giornalismo vecchia maniera, testimone in prima persona di eventi come la liberazione a Buchenwald o il Vietnam. In occasione dell’uscita di una raccolta di suoi scritti, viene contattata per un’intervista da Tamara Sim, giovane collega avvezza più ai trafiletti sulla cellulite delle star che alla cronaca sul campo, che alla cultura sopperisce con la tenacia e l’ambizione e che aspira al giornalismo serio pur non avendone le capacità. Nell’appartamento-reliquario della Tait ha luogo tra le due diversissime donne un incontro al limite dell’assurdo. Ma Tamara non demorde e continua a rincorrere la sua “vittima”, la quale ha alle spalle tre matrimoni e presunte relazioni con grandi dello spettacolo, alla ricerca di uno scoop che dia colore e peso mediatico all’intervista. Per una fortuita serie di eventi lo troverà, con conseguenze disastrose.
Annalena McAfee mette a frutto la sua esperienza pluridecennale nelle redazioni dei quotidiani ricreando, con notevole verve e sporadici cedimenti alla farsa, un ambiente che ai profani appare perverso. La sua satira non risparmia né la vapida Tamara, tipica adepta del culto della celebrità, né la riservata Honor, che pur disprezzando ormai la fama ne è lei stessa un prodotto. Naturalmente, il massimo godimento l’autrice lo trae dal descrivere il mondo di Tamara, cinico, ridicolo e pieno di sé. Dal divertente si passa tuttavia all’inquietante quando constatiamo la preponderanza di scribacchini come la giovane protagonista, i quali scambiano la fiction per il giornalismo creando un universo parallelo alla realtà, che però è verosimile e credibile, perché... “se viene raccontato, allora qualcosa di vero ci deve essere”. A differenza di Honor, in persone come Tamara è totalmente assente il dubbio, perché è assente in primo luogo l’onestà intellettuale.
(Un appello all’Einaudi: più cura editoriale e meno refusi grossolani, prego.) 

Thursday, April 19, 2012

Ann Patchett
Stupori
Traduzione di Silvia Piraccini
Ponte alle Grazie
Pagine 400, € 18,60

Il romanzo precedente di Ann Patchett, nota al pubblico soprattutto per Belcanto, era Corri (recensito sull’ultimo numero del 2008), una storia ambiziosa nelle tematiche ma meno grandiosa rispetto alle intenzioni. Ecco invece che con Stupori (più evocativo il titolo originale, State of Wonder) l’autrice realizza un’opera riuscita, complessa e imprevedibile. Marina Singh, farmacologa al soldo di una azienda del Minnesota, parte da sola per l’Amazzonia alla ricerca della geniale dottoressa Swenson (un tempo sua insegnante), che sta lavorando su un progetto collegato alla fertilità di cui in patria non si sa più niente. Suo scopo principale è tuttavia capire cosa è successo al collega e amico Anders, dato per morto in circostanze misteriose. Verranno alla luce fatti che hanno del miracoloso ed esperimenti al limite dell’eticità.
Se quello di Marina, come ci si può aspettare, è soprattutto un viaggio interiore, di confronto con insicurezze passate, desideri, traumi personali, altrettanto colpisce, in Stupori, la vividezza degli ambienti reali. La prima tappa della protagonista è una Manaus torrida e respingente, popolata da tuttofare locali, bambini smarriti e stranieri bohemien annoiati, anticamera del vero posto “altro” che è la giungla. Immensa e incomprensibile, lussureggiante ma claustrofobica, essa è solo apparentemente tutta uguale: in realtà ciascuna delle tribù è un mondo a sé, e Marina, nonostante le barriere comunicative, viene “adottata” da uno di questi. Il suo è un addentrarsi in un luogo dove il mistero esiste ancora e l’abisso, per dirla con Nietzsche, guarda in noi, dove i punti di riferimento sociali e morali vengono meno riducendo le persone alla loro essenza, mente, cuore e mani. Ann Patchett ha grande talento nel riprodurre comportamenti e dialoghi umani, cogliendone complessità e ambiguità non senza una traccia di ironia.
John Brandon
Dark Florida
Traduzione di Luca Fusari
Giano
Pagine 240, € 16,50

Un clima torrido e soffocante avvolge tutti i protagonisti di questa opera seconda, ambientata nella Citrus County evocata dal titolo originale. A partire dal disilluso quattordicenne Toby, orfano che vive con uno zio depresso che lo trascura, a Shelby, sua compagna e poi fidanzatina, fino a Hibma, professore per caso il quale si sente più vicino ai propri alunni che agli adulti. Il ragazzo, considerato da tutti il tipico teppistello white trash, aspetta di avere un segno che gli indichi come dimostrare di elevarsi a vero Malvagio; il suo piano si compie quando, trovato un bunker in mezzo al bosco, decide di sequestrare la sorellina di Shelby e portarla lì. Shelby, dal canto suo, sfoga la propria impotenza in seguito a questo evento tramite atti distruttivi (che gli adulti, naturalmente, attribuiscono all’influenza delle sue “cattive frequentazioni”) mentre cerca complicità e affetto nel ruvido Toby, confuso dai sentimenti di lei.
I personaggi del romanzo, tutti eccentrici outsider, vivono soprattutto nella loro mente. Presi da fantasie oscure e bisognosi di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per cambiare una quotidianità deprimente e dimostrare a se stessi di poter prendere in mano la propria vita. Se Toby segue il proprio folle piano, Hibma progetta invece di uccidere una collega tronfia e zelante. Difficile catalogarli come buoni o cattivi, dato che ci ispirano allo stesso tempo inquietudine e tenerezza, distanza ed empatia. Dark Florida è una lettura disturbante, pervasa di nichilismo ma anche di umorismo cinico (unico punto debole sono i personaggi di contorno, che sembrano macchiette). La scrittura di John Brandon scrittura è asciutta e anti-sentimentale, precisa e autoconsapevole senza tuttavia scadere nell’aridità. Alla soggettività del lettore resta decidere se ci sia un barlume di speranza nel pantano di queste vite fatalmente perdute.