Tuesday, December 20, 2011

A. M. Homes
Musica per un incendio
Traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini
Feltrinelli
Pagine 384, € 19

Paul ed Elaine sono una coppia di quarantenni come tanti, che vivono in un sobborgo di New York con i due figli. Sono comparsi per la prima volta in Adulti da soli, primo racconto della celebre raccolta della Homes La sicurezza degli oggetti. Mediocri, annoiati, immaturi, sopravvivono cercando l’eccitazione di “cose nuove”, che sia fumare crack o comprare casa. E proprio la casa è al centro di Musica per un incendio, che vede i due coniugi spruzzare combustibile su un muro e dare un calcio al barbecue per andarlo a incendiare. Un atto impulsivo e disperato per cambiare qualcosa, in qualche modo, che avvierà una serie di eventi mettendo Elaine e Paul a confronto con le persone che popolano il loro mondo suburbano. Mentre lei si lascia sedurre (e usare) dall’amica che li ospita e da un poliziotto, lui è alle prese con due amanti e con un compagno di pendolarismo che gli passa droghe di non ben precisata natura.
Cambiare, ma come? I due protagonisti, mentre cercano di smettere di odiarsi, progettano di installare portefinestre e un nuovissimo patio approfittando dei soldi dell’assicurazione. Elaine sogna di essere una casalinga migliore, Paul di svolgere meglio il proprio, moralmente ambiguo, lavoro. Si tratta in tutti i casi di ritocchi, passate di vernice su una superficie irrimediabilmente crepata. E non a caso il grottesco delle loro vicende lascerà spazio alla tragedia pura quando gli adulti, troppo assorbiti dai loro complessi esistenziali e sessuali, non coglieranno i segni premonitori lanciati dai figli.
Musica per un incendio sarebbe solo una collezione di situazioni già esplorate da letteratura e cinema, se la Homes non fosse una bravissima narratrice: il suo sguardo è acidamente ironico ma anche attento alle minuzie del vivere umano, e il suo orecchio per il dialogo è finissimo. Il risultato è una storia che il lettore può trovare appassionante, o ripugnante, o entrambe le cose. Per poi chiedersi che cosa rifletta la sua personale reazione.

Friday, October 14, 2011

Austin Wright
Tony & Susan
Traduzione di Laura Noulian
Adelphi
Pagine 408, € 19,50

Susan è moglie in seconde nozze di un medico di successo; mentre il marito è via per lavoro, riceve un manoscritto dal suo ex, Edward, che non sente da vent’anni e che ha sempre sofferto del suo fallimento come scrittore. Il romanzo che manda in lettura a Susan tuttavia si rivela molto più che valido: è una storia agghiacciante, realistica, complessa che avviluppa la donna nella sue serate solitarie. La storia di Tony, stimato professore in viaggio in auto con la famiglia, attaccato da un trio di sbandati che gli rapiscono e uccidono moglie e figlia, e poi le indagini, l’ossessione, i ricordi oscillanti, lo sbandamento mentale dell’uomo, che non trova più sicurezza dietro alle maschere sociali. Pur decisa a valutare con distacco l’opera, Susan si lascia coinvolgere completamente, iniziando a ripensare a se stessa e alla sua vita in rapporto alle vicissitudini di Tony. Cosa ha spinto Edward a scrivere un simile romanzo? Perché proprio lei come prima lettrice? Il libro getterà una nuova luce su Edward? E che significato deve avere per Susan?
Apparso per la prima volta negli anni Novanta senza particolare risonanza, Tony & Susan, dello scomparso Austin Wright, è stato ripubblicato nel Regno Unito dalla Atlantic, che lo ha lanciato come un grande romanzo americano da riscoprire. E in effetti: a differenza di tanti libri-sui-libri carini e innocui (quelli in cui romanzi perduti celano segreti) o eccessivamente astratti e teorici, Tony & Susan mostra la scrittura – e la lettura stessa – come atti viscerali, che trasformano le persone in modi imprevedibili. Mentre Tony scivola impotente in una spirale di brutalità, la sua identità sembra vacillare e mutare con gli eventi, come quella della stessa Susan. Tra i tanti spunti di questo romanzo, disturbante e coinvolgente fino all’ultima pagina, c’è l’impossibilità di capire fino in fondo gli autori: esiste solo il dialogo imperfetto tra noi e il libro, i suoi misteri e interrogativi, le nostre arbitrarie e monche deduzioni.

Friday, August 12, 2011

Robert Macfarlane
Luoghi selvaggi - In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste
Traduzione di Duccio Sacchi
Einaudi
Pagine 322, € 21

“Era un luogo perfetto per un sognare profondo.” Così Macfarlane descrive Skellig Michael, isola sulla costa occidentale dell’Irlanda e sede di uno dei più affascinanti e inaccessibili monasteri, che colpì anche l’immaginazione di George Bernard Shaw. È presto chiaro al lettore che cosa davvero interessa all’autore nei suoi viaggi tra i luoghi selvaggi del titolo, sparsi tra Inghilterra, Scozia e Irlanda: scoprire – e fare esperienza di – posti in cui l’animo umano possa trovare una corrispondenza inedita, dove la mente venga indotta a pensare e immaginare in modi nuovi.
Non si tratta di una guida turistica sui generis, dunque, ma di una serie di “mappe narrative” che descrivono i luoghi come vengono percepiti da chi li percorre. Le foreste, paludi, valli eccetera che Macfarlane attraversa non sono solo posti banalmente descrivibili come incontaminati e inusuali, ma anche nuovi paesaggi mentali. Nella sua visione la natura è più grande, antica e potente dell’essere umano, è indifferente alla sua sorte, ma l’uomo rimane tuttavia il suo interlocutore privilegiato e da essa trae sentimento, ispirazione, interrogativi, inquietudine ma anche senso di pace. L’autore si rifà a vari artisti, scrittori, studiosi che attraverso i secoli si sono interrogati su questo rapporto tra noi e la natura, che hanno descritto, per quanto possibile, le esperienze rivelatrici e profondamente individuali che nascono da questa corrispondenza con un luogo. Macfarlane alla fine va oltre, trovando sprazzi di selvaticità anche negli scenari urbani, nelle città e nei cortili. Perché dalla selvaticità, in quanto specie umana, veniamo e in essa, un giorno lontano, torneremo.
Scritto con uno stile vivido e a tratti lirico, Luoghi selvaggi è il libro ideale per gli spiriti contemplativi, per le persone considerate un po’ folli, visionarie, fuori moda, in realtà alla ricerca di un significato che vada al di là del contingente parlandoci di un mistero senza tempo.

Monday, April 18, 2011

Angelica Garnett
Ingannata con dolcezza - Un’infanzia a Bloomsbury
Traduzione di Nicoletta Della Casa
La Tartaruga
Pagine 191, € 17,50

Un’adolescente sente insinuare da un’amica che il suo vero padre non sia l’uomo di cui porta il cognome, si indigna, ma sotto sotto ha sempre sospettato come stanno realmente le cose. Pochi anni dopo, la seduce e prende in sposa l’ex amante del padre naturale, in un tentativo di rivalsa (anche) sulla madre, che lo aveva respinto. Non stupisce che, con un passato così ingombrante e ambiguo, una donna decida in età matura di scrivere un’autobiografia-confessione, a maggior ragione se si tratta di Angelica Garnett, figlia di Vanessa Bell e nipote di Virginia Woolf, cresciuta nel mitico circolo intellettuale di Bloomsbury, tra Londra e la tenuta di campagna di Charleston.
Come in tutti i gruppi che si professano moralmente e culturalmente liberi, anche dietro alla facciata di anticonformismo di Bloomsbury si celano regole non scritte che, insieme al peso delle aspettative di troppe menti geniali, fanno dell’autrice una giovane insicura, che faticherà a trovare la propria strada. Il libro segue un filo logico tutto suo, più che una consequenzialità cronologica, ed è perfettamente riassunto già dal titolo: Angelica vive nella sua infanzia una specie di sogno, improntato alla ricerca del bello e pervaso da ombre e segreti su cui riuscirà a gettare luce solo in età adulta. Ritrae i protagonisti di quella insolita scena con schiettezza ma anche grande affetto, attenta che il suo punto di vista non monopolizzi il racconto trasformandoli in macchiette o meri schemi da manuale di psicoanalisi. In particolare Vanessa, il cuore pulsante di Charleston, dal rapporto conflittuale con la sorella, e David “Bunny” Garnett, che plasma Angelica giovanissima sposa. Sette anni ha impiegato l’autrice per scrivere con il dovuto distacco le duecento pagine di questo memoir, che resta tuttavia molto intimo, ricco di finezza psicologica e occasionalmente abbellito da immagini di grande lirismo, come ci si aspetterebbe da un’artista figlia di artisti.

Saturday, February 19, 2011

Krystyna Kuhn
Il segreto del Grace College
Traduzione di Roberta Zuppet
Nord
Pagine 302, € 16

Tutti hanno qualcosa da nascondere, recita il sottotitolo: eccome se ce l’hanno. I fratelli Julia e Robert Frost (sì, Robert Frost), protagonisti del romanzo, arrivano all’elitario Grace College per sfuggire a un passato traumatico, e anche gli altri personaggi non sono da meno, dalla rabbiosa Angela, costretta alla sedia a rotelle e destinata a un tragico destino, alla irritante e falsa Debbie, fino all’aitante e impassibile Alex, tutor delle matricole. Ma il Grace College stesso sembra celare segreti. D’altronde la sua posizione isolata in una foresta del Canada, non segnalata sulle cartine, ne fa il luogo ideale per avvenimenti strani. Tutto inizia quando Julia riceve un sms su un numero di cellulare che non ha mai dato a nessuno, e successivamente è Robert a essere testimone della scomparsa di una strana creatura nel lago, la notte della festa di benvenuto alle matricole. Un mondo high tech, scopriremo, non è incompatibile con il mistero.
Il segreto del Grace College, primo romanzo di una serie della tedesca Kuhn, non è originalissimo, ma funziona ed è terribilmente accattivante. Lo spleen adolescenziale è espresso dalle voci di una serie di personaggi disadattati, ciascuno a suo modo. In particolare Robert, sensibile e intellettuale, per cui la sorella Julia prova un senso di protezione (fortunatamente non ci sono vampiri maliardi continuamente respinti al liceo, né fanciulle pronte ad affidarcisi passivamente). È evidente che la Kuhn ha dei riferimenti ambiziosi e ha fatto suo il senso del luogo tipico di alcuni dei migliori horror. Se viene spontaneo pensare all’ambientazione di Shining, un passaggio in particolare – “[Robert] aveva notato più di una volta che la struttura del luogo non andava. Le pareti apparivano bombate, i lunghi corridoi sembravano curvi” – non può non suonare come un felice richiamo alla casa obliqua, viva e malvagia del magnifico L’incubo di Hill House di Shirley Jackson.

Wednesday, January 12, 2011

Rebecca Connell
L’arte di dirsi addio
Traduzione di Silvia Bre
Einaudi
Pagine 262, € 17,50

Louise è inglese e ha ventitre anni. Sua madre Lydia è morta quando lei era piccola, in un tragico incidente la cui causa indiretta è stata un uomo con cui Lydia aveva una relazione, Nicholas, amico di suo padre. La ragazza, assunta una falsa identità, decide di indagare su questi lontani eventi scoprendo verità inattese sul rapporto tra due coppie e sul proprio passato.
Giocato tra diversi punti di vista (Louise/Nicholas) e prospettive temporali (il passato in cui si svolse la relazione/il presente dell’indagine), The Art of Losing è un romanzo di grande presa. La trentenne Rebecca Connell, al suo esordio narrativo (seguito da Told in Silence), costruisce una vicenda esemplare di tradimento che tocca temi eterni: la passione e l’ossessione, la natura dei legami umani – con la forza della loro apparente casualità – le motivazioni che stanno dietro a un matrimonio, la dimensione maschile e femminile. L’autrice esplora le complesse dinamiche tra i quattro attori: il virile, deciso Nicholas e la materna Naomi, l’enigmatica, manipolatrice Lydia e il trepido Martin, scoprendo a poco a poco le loro vere nature. Anche per Louise e Adam, figlio della prima coppia, c’è un incontro fatale dietro l’angolo.
Se alla Connell si può muovere una critica, oltre a qualche improbabilità narrativa che tuttavia non disturba, è che la sua opera prima sembra addirittura troppo perfetta: un meccanismo thriller ben oliato che corre verso un finale abbastanza intuibile, e insieme un dramma psicologico venato di tristezza che, tuttavia, non va sotto la superficie, non si sporca mai davvero le mani. Ci si aspetta costantemente un climax, un divampare di emozione che strazi gli animi, una catarsi, trovandosi invece una scena finale più d’effetto che pregnante. Not with a bang, but a whimper.
(Einaudi, perché tanti grossolani refusi nelle ultime pubblicazioni?)