Sunday, June 30, 2013

Chris Adrian
La grande notte
Traduzione di Eva Kampmann
Einaudi
Pagine 344, € 18,70

Notte del solstizio d’estate. Tre personaggi nella San Francisco odierna sono diretti a una festa e per raggiungerla attraversano il suggestivo Buena Vista Park. Si tratta di Henry, tormentato dall’abbandono dell’amato Bobby, Will, che tenta di riconquistare l’enigmatica Carolina, e Molly, che ancora soffre per il misterioso suicidio del fidanzato Ryan. Non giungeranno mai a destinazione, e invece si troveranno invischiati nella Grande Notte, ovvero la Midsummer Night shakespeariana. Già, perché la storia include tra i suoi attori anche una Titania diventata madre adottiva di un bambino terreno, morto per malattia in un comune ospedale. Per la prima volta anche la Regina delle Fate, abbandonata anche da Oberon, si consuma di dolore umano e lancia una minaccia potenzialmente distruttiva per il suo mondo e per il nostro.
L’opera di Chris Adrian è assai ambiziosa: una sorta di cupa rilettura (molto libera) di Sogno di una notte di mezza estate in chiave urban fantasy. I protagonisti umani, le cui vicende sono inaspettatamente legate tra di loro, sono tutti e tre segnati da gravi perdite e traumi passati con cui devono fare i conti. Si perdono nel bucolico Buena Vista e dentro se stessi, durante una nottata surreale di follia ed eros. Il punto è che quando Adrian rievoca in flashback il loro passato è nitido, psicologicamente preciso e coinvolgente; quando invece i tre si trovano faccia a faccia con i propri demoni, la narrativa, che dovrebbe decollare, diventa pesante e statica. Come se l’autore non riuscisse a gestire e rendere vivido il caos portato da Titania, fate e creature bizzarre, così che la storia finisce per soffocare sotto un eccesso di simbolismo ed eccentricità. Chris Adrian, oncologo e autore di vari romanzi e racconti, è stato osannato in anni recenti come uno dei migliori autori sotto i quaranta. Indubbiamente questo libro svela un grande potenziale, ma l’impressione è che ci siano troppi elementi in gioco e non abbastanza alchimia per suscitare la magia che si vorrebbe creare.

Friday, April 19, 2013


Grace McCleen
Il posto dei miracoli
Traduzione di Norman Gobetti
Einaudi
Pagine 280, € 18

Judith è una bambina di dieci anni, che vive con il padre vedovo in una squallida cittadina operaia inglese (in un decennio apparentemente lontano dal nostro). I due appartengono a una setta fondamentalista, passano il tempo predicando la fine del mondo porta a porta e non hanno la tv. Judith, come è prevedibile, viene considerata strana da alcuni compagni di scuola ed è oggetto del loro bullismo. Quello che costoro non sanno è che la bambina, in camera sua, costruisce un mondo in miniatura – la “Terra dell’Adornamento” – utilizzando materiali di scarto: case, alberi, persone e tutto quello che le viene in mente. Per caso Judith scopre che tramite le sue creazioni riesce a far accadere eventi, anzi “miracoli”. Dal momento della scoperta inizia a sentire la voce di Dio e a dialogare con lui... Sarà l’inizio di una catena di avvenimenti impossibile da fermare.
Il posto dei miracoli è il primo romanzo della McCleen, giustamente accolto con grande favore. La voce narrante di Judith ci porta nel mondo angusto di una bambina che vive un’infanzia solitaria, oppressa dal senso di colpa per la morte della madre e dal rapporto con un padre che non sa esprimere il proprio affetto. La piccola protagonista cerca di interpretare ciò che avviene fuori dalla propria stanza usando i pochi punti di riferimento che possiede, e la “Terra dell’Adornamento” è il suo unico, obliquo mezzo per agire attivamente sulla realtà. Si tratta di un’opera d’esordio originale e toccante, credibile e narrata con sicurezza (a parte qualche trascurabile cliché). Evita note sdolcinate, e anzi mostra il lato dark dell’infanzia, quanto possano essere estremi e profondi i sentimenti di un bambino. La McCleen maneggia del materiale potenzialmente esplosivo – una religiosità rigida, bullismo e conflitti sociali, il dilemma sulla natura di Dio (è una voce nella nostra testa, il segno di un disagio mentale?) – con grazia e umanità. Triste, ma con un raggio di speranza.

Thursday, February 14, 2013


Lucy Clarke
Le sorelle dell’oceano
Traduzione di Ada Arduini
Neri Pozza
Pagine 340, € 17

Katie è la sorella maggiore, Mia la minore. La prima è equilibrata, affidabile, prudente, la seconda inquieta, insoddisfatta, ribelle. Dopo la scomparsa della madre, vivono insieme. Mia, partita per un viaggio avventuroso sulle coste di diversi Paesi in compagnia del suo migliore amico, viene trovata morta a Bali, ai piedi di una scogliera, il caso archiviato come suicidio. Ma Katie non crede che la ragazza possa aver compiuto davvero un tale gesto e, complice il diario della defunta, inizia a ripercorrere le sue tracce alla ricerca della verità. E di verità ne troverà molte: sulla sorella, su di sé, sulla loro famiglia, sugli uomini della loro vita. Confrontandosi con il ricordo di Mia, inevitabilmente cambierà anche lei.
L’autrice è una trentenne esordiente inglese, evidentemente affascinata dai viaggi e dalla diaristica. La premessa del romanzo è intrigante e i primi capitoli incuriosiscono, ma nel complesso si tratta di un’opera dozzinale, in cui manca proprio quel senso di mistero che si vorrebbe evocare. I personaggi non vanno al di là della bidimensionalità: Katie è quella che si sacrifica e Mia quella che fugge, ovvio; le due si vogliono bene e si odiano insieme, naturale; la maggiore ha all’orizzonte un (forse) solido matrimonio, mentre l’altra si innamora di bei tenebrosi che la respingono. E naturalmente c’è il mare: una non può che amarlo, l’altra ne ha paura. L’intreccio è curato, persino troppo, ricco com’è di grandi rivelazioni, segreti, ossessioni, triangoli amorosi, il tutto con un retrogusto artificiale. L’impressione è che ci sia troppa carne al fuoco, eppure la storia riesce lo stesso a diventare prevedibile verso la conclusione. La quale non può essere altro che una scena madre, invero piuttosto forzata, in cui la memoria di Mia verrà ripulita di qualsiasi asprezza (non sia mai). 

Wednesday, December 5, 2012


Mark Haddon
La casa rossa
Traduzione di Monica Pareschi
Einaudi
Pagine 280, € 19,50

Sette giorni nell’isolata dimora di campagna inglese che dà il titolo al libro, due nuclei famigliari imparentati ma che si conoscono poco. Quattro adulti e quattro ragazzi: Richard, padrone di casa e rispettato medico e la sua infelice sorella Angela, la di lui neo-moglie Louisa con la provocante figlia Melissa, il debole marito di Angela, Dominic, e i loro figli, gli adolescenti Daisy e Alex e il piccolo Benjy.
Haddon, famoso per Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, ne abbandona qua la linearità per intessere un’opera complessa. Presente e flusso di coscienza, pensieri e dialoghi, estratti di libri letti, elenchi di oggetti, luoghi reali e atmosfere. L’autore alterna i punti di vista dei personaggi, ciascuno alle prese con le proprie paure e angoscie, sia che scaturiscano da un lutto, da un errore, da una crisi di identità, da un conflitto o dal semplice dover crescere – e l’unico di loro a godere ancora dell’infantile spensieratezza sta per scoprire anch’egli l’inquietudine di vivere. Gli otto prima si studiano, ognuno chiuso nel proprio universo, poi entrano in contatto reciproco, cautamente, e anche la narrazione si fa un po’ più corale. Non ci sarà una grande catarsi finale, ma ciascuno di loro uscirà trasformato da questa settimana.
A chi si chiede a cosa serva (ancora) la narrativa, un gioiello come La casa rossa fornisce una degna risposta. Haddon esplora otto vite come tante e, grazie al potere che solo il ruolo “divino” del narratore onnisciente può donare, rivela l’unicità del dramma umano nascosta in ciascuna di esse. Si tratta di un romanzo ambizioso, che evoca la poesia dal prosaico e dal quotidiano e che con la sua struttura frammentaria stimola intellettualmente il lettore. Lo stile può inizialmente sembrare artificioso, ma Haddon sa quel che fa, e ben presto ci troviamo coinvolti nel racconto di queste esistenze come se ci riguardassero da vicino.

Thursday, October 11, 2012


Sara Levine
L’isola del tesoro!!!
Traduzione di Claudia Valeria Letizia
e/o
Pagine 200, € 18

Venticinque anni, indecisa cronica e abituata a lasciarsi portare dalla corrente, la protagonista (senza nome) de L’isola del tesoro!!! scopre il libro di Stevenson e cambia la propria vita. Usandolo come una sorta di manuale self-help, la ragazza adotta una nuova filosofia improntata ad audacia, risolutezza, indipendenza (e battersi la grancassa). Ottimo, no? No, perché in realtà la nostra non fa che regredire a uno stato adolescenziale improntato all’egomania e all’autoillusione, convinta di aver ampliato la propria coscienza ma in realtà incapace di prendere atto della realtà che la circonda e tantomeno delle motivazioni altrui. E d’altronde, cosa dobbiamo pensare di una narratrice (in prima persona) che esordisce così? “Sulla scia dell’avventura che ho vissuto, ho deciso di scrivere tutto ... senza tenermi dentro niente, neanche i nomi di amici e parenti che mi hanno afflitto con i loro problemi.” A queste parole segue, sulla pagina, un’illustrazione che mostra come il tratto della penna usata sia migliorato dopo che lei l’ha agitata scaldandone l’inchiostro.  
Si ha appena il tempo di domandarsi se si tratti dell’ennesima collezione di stravaganze “carine”, che il romanzo della Levine ha già conquistato il lettore con il suo fascino ispido. Sorta di parodia del romanzo di formazione (quale è il classico stevensoniano), vede la sua idiosincratica protagonista, invece di evolvere, perdere ciò che ha: un lavoro, la vita di coppia, l’indipendenza dai genitori, l’amica più cara. Ma a cosa servono queste cose quando nella propria mente si è un’avventuriera che vive ogni giorno al massimo, rendendo più nobile il proprio animo? 
La Levine, insegnante di scrittura creativa alla sua opera prima, è sapiente nel disseminare, tra un episodio buffo e una metafora stramba, indizi sulla personalità disturbata della sua anti-eroina (un modello femminile in negativo molto moderno e in controtendenza con gli stereotipi della letteratura rosa, ma in sintonia con certo cinema statunitense). Una scrittura solo apparentemente casuale e ingenua, che rivela un’autrice da tenere d’occhio.

Saturday, August 11, 2012


Anne Tyler
Guida rapida agli addii
Traduzione di Laura Pignatti
Guanda
Pagine 220, € 15

Attenti agli alberi. Tendono ad ammalarsi e potrebbero abbattersi sulla vostra casa quando meno (ovviamente) ve lo aspettate. Per una spaventosa coincidenza, è proprio un albero malato a uccidere Dorothy, moglie del trentaseienne Aaron, editor di una piccola casa editrice specializzata in “Guide rapide” ai più svariati (e specifici) argomenti. Il vuoto lasciato da questa donna “unica”, come la ricorda lui, schietta e senza fronzoli, è improvviso e incolmabile. Colleghi, vicine di casa e una sorella, tutti si adoperano per aiutare Aaron ad attraversare il periodo di lutto. Ma soprattutto, a comparire inattesa al suo fianco, sarà proprio Dorothy, per riallacciare con difficoltà un dialogo interrotto o forse mai davvero avvenuto in vita.
Anne Tyler è una garanzia: in ogni suo romanzo possiamo attenderci storie che attingono a piene mani nella vita reale, senza concessioni a tematiche alla moda o a vuoti esibizionismi stilistici. Ogni esistenza, anche la meno spettacolare, offre avvenimenti sensazionali, sentimenti unici, punte di vera poesia; la Tyler lo sa bene, tanto che ne ha fatto la sua filosofia di narratrice. In Guida rapida agli addii ritroviamo il suo caratteristico gusto per il dettaglio e il suo umorismo quieto ma pungente. Il dolore che Aaron prova non è mai palesato apertamente e non diventa mai melodramma; anzi, il neovedovo non perde il suo senso dell’ironia quando si accorge che amici e famigliari arrivano a evitare parole come “moglie” per non turbarlo. Il romanzo è in un certo senso una versione light di Turista per caso – non a caso torna la tematica delle “guide alla vita” –, meno profonda e con l’aggiunta di un inedito elemento soprannaturale, che tuttavia non diventa mai lezioso né prevarica il realismo della storia. Al centro, l’imperfezione dei rapporti umani. 
Non è il libro che si consiglierebbe a chi non ha mai letto niente della scrittrice statunitense, ma una lettura comunque intelligente e godibile.

Thursday, June 14, 2012


Annalena McAfee
L’esclusiva
Traduzione di Marta Matteini
Einaudi
Pagine 390, € 21

Londra, 1997: il momento in cui Internet sta per emergere cambiando il mondo dell’informazione (e appena prima della morte di Lady D). Honor Tait è un’ottuagenaria gloria del giornalismo vecchia maniera, testimone in prima persona di eventi come la liberazione a Buchenwald o il Vietnam. In occasione dell’uscita di una raccolta di suoi scritti, viene contattata per un’intervista da Tamara Sim, giovane collega avvezza più ai trafiletti sulla cellulite delle star che alla cronaca sul campo, che alla cultura sopperisce con la tenacia e l’ambizione e che aspira al giornalismo serio pur non avendone le capacità. Nell’appartamento-reliquario della Tait ha luogo tra le due diversissime donne un incontro al limite dell’assurdo. Ma Tamara non demorde e continua a rincorrere la sua “vittima”, la quale ha alle spalle tre matrimoni e presunte relazioni con grandi dello spettacolo, alla ricerca di uno scoop che dia colore e peso mediatico all’intervista. Per una fortuita serie di eventi lo troverà, con conseguenze disastrose.
Annalena McAfee mette a frutto la sua esperienza pluridecennale nelle redazioni dei quotidiani ricreando, con notevole verve e sporadici cedimenti alla farsa, un ambiente che ai profani appare perverso. La sua satira non risparmia né la vapida Tamara, tipica adepta del culto della celebrità, né la riservata Honor, che pur disprezzando ormai la fama ne è lei stessa un prodotto. Naturalmente, il massimo godimento l’autrice lo trae dal descrivere il mondo di Tamara, cinico, ridicolo e pieno di sé. Dal divertente si passa tuttavia all’inquietante quando constatiamo la preponderanza di scribacchini come la giovane protagonista, i quali scambiano la fiction per il giornalismo creando un universo parallelo alla realtà, che però è verosimile e credibile, perché... “se viene raccontato, allora qualcosa di vero ci deve essere”. A differenza di Honor, in persone come Tamara è totalmente assente il dubbio, perché è assente in primo luogo l’onestà intellettuale.
(Un appello all’Einaudi: più cura editoriale e meno refusi grossolani, prego.) 

Thursday, April 19, 2012

Ann Patchett
Stupori
Traduzione di Silvia Piraccini
Ponte alle Grazie
Pagine 400, € 18,60

Il romanzo precedente di Ann Patchett, nota al pubblico soprattutto per Belcanto, era Corri (recensito sull’ultimo numero del 2008), una storia ambiziosa nelle tematiche ma meno grandiosa rispetto alle intenzioni. Ecco invece che con Stupori (più evocativo il titolo originale, State of Wonder) l’autrice realizza un’opera riuscita, complessa e imprevedibile. Marina Singh, farmacologa al soldo di una azienda del Minnesota, parte da sola per l’Amazzonia alla ricerca della geniale dottoressa Swenson (un tempo sua insegnante), che sta lavorando su un progetto collegato alla fertilità di cui in patria non si sa più niente. Suo scopo principale è tuttavia capire cosa è successo al collega e amico Anders, dato per morto in circostanze misteriose. Verranno alla luce fatti che hanno del miracoloso ed esperimenti al limite dell’eticità.
Se quello di Marina, come ci si può aspettare, è soprattutto un viaggio interiore, di confronto con insicurezze passate, desideri, traumi personali, altrettanto colpisce, in Stupori, la vividezza degli ambienti reali. La prima tappa della protagonista è una Manaus torrida e respingente, popolata da tuttofare locali, bambini smarriti e stranieri bohemien annoiati, anticamera del vero posto “altro” che è la giungla. Immensa e incomprensibile, lussureggiante ma claustrofobica, essa è solo apparentemente tutta uguale: in realtà ciascuna delle tribù è un mondo a sé, e Marina, nonostante le barriere comunicative, viene “adottata” da uno di questi. Il suo è un addentrarsi in un luogo dove il mistero esiste ancora e l’abisso, per dirla con Nietzsche, guarda in noi, dove i punti di riferimento sociali e morali vengono meno riducendo le persone alla loro essenza, mente, cuore e mani. Ann Patchett ha grande talento nel riprodurre comportamenti e dialoghi umani, cogliendone complessità e ambiguità non senza una traccia di ironia.
John Brandon
Dark Florida
Traduzione di Luca Fusari
Giano
Pagine 240, € 16,50

Un clima torrido e soffocante avvolge tutti i protagonisti di questa opera seconda, ambientata nella Citrus County evocata dal titolo originale. A partire dal disilluso quattordicenne Toby, orfano che vive con uno zio depresso che lo trascura, a Shelby, sua compagna e poi fidanzatina, fino a Hibma, professore per caso il quale si sente più vicino ai propri alunni che agli adulti. Il ragazzo, considerato da tutti il tipico teppistello white trash, aspetta di avere un segno che gli indichi come dimostrare di elevarsi a vero Malvagio; il suo piano si compie quando, trovato un bunker in mezzo al bosco, decide di sequestrare la sorellina di Shelby e portarla lì. Shelby, dal canto suo, sfoga la propria impotenza in seguito a questo evento tramite atti distruttivi (che gli adulti, naturalmente, attribuiscono all’influenza delle sue “cattive frequentazioni”) mentre cerca complicità e affetto nel ruvido Toby, confuso dai sentimenti di lei.
I personaggi del romanzo, tutti eccentrici outsider, vivono soprattutto nella loro mente. Presi da fantasie oscure e bisognosi di fare qualcosa, qualsiasi cosa, per cambiare una quotidianità deprimente e dimostrare a se stessi di poter prendere in mano la propria vita. Se Toby segue il proprio folle piano, Hibma progetta invece di uccidere una collega tronfia e zelante. Difficile catalogarli come buoni o cattivi, dato che ci ispirano allo stesso tempo inquietudine e tenerezza, distanza ed empatia. Dark Florida è una lettura disturbante, pervasa di nichilismo ma anche di umorismo cinico (unico punto debole sono i personaggi di contorno, che sembrano macchiette). La scrittura di John Brandon scrittura è asciutta e anti-sentimentale, precisa e autoconsapevole senza tuttavia scadere nell’aridità. Alla soggettività del lettore resta decidere se ci sia un barlume di speranza nel pantano di queste vite fatalmente perdute.

Tuesday, December 20, 2011

A. M. Homes
Musica per un incendio
Traduzione di Maria Baiocchi e Anna Tagliavini
Feltrinelli
Pagine 384, € 19

Paul ed Elaine sono una coppia di quarantenni come tanti, che vivono in un sobborgo di New York con i due figli. Sono comparsi per la prima volta in Adulti da soli, primo racconto della celebre raccolta della Homes La sicurezza degli oggetti. Mediocri, annoiati, immaturi, sopravvivono cercando l’eccitazione di “cose nuove”, che sia fumare crack o comprare casa. E proprio la casa è al centro di Musica per un incendio, che vede i due coniugi spruzzare combustibile su un muro e dare un calcio al barbecue per andarlo a incendiare. Un atto impulsivo e disperato per cambiare qualcosa, in qualche modo, che avvierà una serie di eventi mettendo Elaine e Paul a confronto con le persone che popolano il loro mondo suburbano. Mentre lei si lascia sedurre (e usare) dall’amica che li ospita e da un poliziotto, lui è alle prese con due amanti e con un compagno di pendolarismo che gli passa droghe di non ben precisata natura.
Cambiare, ma come? I due protagonisti, mentre cercano di smettere di odiarsi, progettano di installare portefinestre e un nuovissimo patio approfittando dei soldi dell’assicurazione. Elaine sogna di essere una casalinga migliore, Paul di svolgere meglio il proprio, moralmente ambiguo, lavoro. Si tratta in tutti i casi di ritocchi, passate di vernice su una superficie irrimediabilmente crepata. E non a caso il grottesco delle loro vicende lascerà spazio alla tragedia pura quando gli adulti, troppo assorbiti dai loro complessi esistenziali e sessuali, non coglieranno i segni premonitori lanciati dai figli.
Musica per un incendio sarebbe solo una collezione di situazioni già esplorate da letteratura e cinema, se la Homes non fosse una bravissima narratrice: il suo sguardo è acidamente ironico ma anche attento alle minuzie del vivere umano, e il suo orecchio per il dialogo è finissimo. Il risultato è una storia che il lettore può trovare appassionante, o ripugnante, o entrambe le cose. Per poi chiedersi che cosa rifletta la sua personale reazione.

Friday, October 14, 2011

Austin Wright
Tony & Susan
Traduzione di Laura Noulian
Adelphi
Pagine 408, € 19,50

Susan è moglie in seconde nozze di un medico di successo; mentre il marito è via per lavoro, riceve un manoscritto dal suo ex, Edward, che non sente da vent’anni e che ha sempre sofferto del suo fallimento come scrittore. Il romanzo che manda in lettura a Susan tuttavia si rivela molto più che valido: è una storia agghiacciante, realistica, complessa che avviluppa la donna nella sue serate solitarie. La storia di Tony, stimato professore in viaggio in auto con la famiglia, attaccato da un trio di sbandati che gli rapiscono e uccidono moglie e figlia, e poi le indagini, l’ossessione, i ricordi oscillanti, lo sbandamento mentale dell’uomo, che non trova più sicurezza dietro alle maschere sociali. Pur decisa a valutare con distacco l’opera, Susan si lascia coinvolgere completamente, iniziando a ripensare a se stessa e alla sua vita in rapporto alle vicissitudini di Tony. Cosa ha spinto Edward a scrivere un simile romanzo? Perché proprio lei come prima lettrice? Il libro getterà una nuova luce su Edward? E che significato deve avere per Susan?
Apparso per la prima volta negli anni Novanta senza particolare risonanza, Tony & Susan, dello scomparso Austin Wright, è stato ripubblicato nel Regno Unito dalla Atlantic, che lo ha lanciato come un grande romanzo americano da riscoprire. E in effetti: a differenza di tanti libri-sui-libri carini e innocui (quelli in cui romanzi perduti celano segreti) o eccessivamente astratti e teorici, Tony & Susan mostra la scrittura – e la lettura stessa – come atti viscerali, che trasformano le persone in modi imprevedibili. Mentre Tony scivola impotente in una spirale di brutalità, la sua identità sembra vacillare e mutare con gli eventi, come quella della stessa Susan. Tra i tanti spunti di questo romanzo, disturbante e coinvolgente fino all’ultima pagina, c’è l’impossibilità di capire fino in fondo gli autori: esiste solo il dialogo imperfetto tra noi e il libro, i suoi misteri e interrogativi, le nostre arbitrarie e monche deduzioni.

Friday, August 12, 2011

Robert Macfarlane
Luoghi selvaggi - In viaggio a piedi tra isole, vette, brughiere e foreste
Traduzione di Duccio Sacchi
Einaudi
Pagine 322, € 21

“Era un luogo perfetto per un sognare profondo.” Così Macfarlane descrive Skellig Michael, isola sulla costa occidentale dell’Irlanda e sede di uno dei più affascinanti e inaccessibili monasteri, che colpì anche l’immaginazione di George Bernard Shaw. È presto chiaro al lettore che cosa davvero interessa all’autore nei suoi viaggi tra i luoghi selvaggi del titolo, sparsi tra Inghilterra, Scozia e Irlanda: scoprire – e fare esperienza di – posti in cui l’animo umano possa trovare una corrispondenza inedita, dove la mente venga indotta a pensare e immaginare in modi nuovi.
Non si tratta di una guida turistica sui generis, dunque, ma di una serie di “mappe narrative” che descrivono i luoghi come vengono percepiti da chi li percorre. Le foreste, paludi, valli eccetera che Macfarlane attraversa non sono solo posti banalmente descrivibili come incontaminati e inusuali, ma anche nuovi paesaggi mentali. Nella sua visione la natura è più grande, antica e potente dell’essere umano, è indifferente alla sua sorte, ma l’uomo rimane tuttavia il suo interlocutore privilegiato e da essa trae sentimento, ispirazione, interrogativi, inquietudine ma anche senso di pace. L’autore si rifà a vari artisti, scrittori, studiosi che attraverso i secoli si sono interrogati su questo rapporto tra noi e la natura, che hanno descritto, per quanto possibile, le esperienze rivelatrici e profondamente individuali che nascono da questa corrispondenza con un luogo. Macfarlane alla fine va oltre, trovando sprazzi di selvaticità anche negli scenari urbani, nelle città e nei cortili. Perché dalla selvaticità, in quanto specie umana, veniamo e in essa, un giorno lontano, torneremo.
Scritto con uno stile vivido e a tratti lirico, Luoghi selvaggi è il libro ideale per gli spiriti contemplativi, per le persone considerate un po’ folli, visionarie, fuori moda, in realtà alla ricerca di un significato che vada al di là del contingente parlandoci di un mistero senza tempo.

Monday, April 18, 2011

Angelica Garnett
Ingannata con dolcezza - Un’infanzia a Bloomsbury
Traduzione di Nicoletta Della Casa
La Tartaruga
Pagine 191, € 17,50

Un’adolescente sente insinuare da un’amica che il suo vero padre non sia l’uomo di cui porta il cognome, si indigna, ma sotto sotto ha sempre sospettato come stanno realmente le cose. Pochi anni dopo, la seduce e prende in sposa l’ex amante del padre naturale, in un tentativo di rivalsa (anche) sulla madre, che lo aveva respinto. Non stupisce che, con un passato così ingombrante e ambiguo, una donna decida in età matura di scrivere un’autobiografia-confessione, a maggior ragione se si tratta di Angelica Garnett, figlia di Vanessa Bell e nipote di Virginia Woolf, cresciuta nel mitico circolo intellettuale di Bloomsbury, tra Londra e la tenuta di campagna di Charleston.
Come in tutti i gruppi che si professano moralmente e culturalmente liberi, anche dietro alla facciata di anticonformismo di Bloomsbury si celano regole non scritte che, insieme al peso delle aspettative di troppe menti geniali, fanno dell’autrice una giovane insicura, che faticherà a trovare la propria strada. Il libro segue un filo logico tutto suo, più che una consequenzialità cronologica, ed è perfettamente riassunto già dal titolo: Angelica vive nella sua infanzia una specie di sogno, improntato alla ricerca del bello e pervaso da ombre e segreti su cui riuscirà a gettare luce solo in età adulta. Ritrae i protagonisti di quella insolita scena con schiettezza ma anche grande affetto, attenta che il suo punto di vista non monopolizzi il racconto trasformandoli in macchiette o meri schemi da manuale di psicoanalisi. In particolare Vanessa, il cuore pulsante di Charleston, dal rapporto conflittuale con la sorella, e David “Bunny” Garnett, che plasma Angelica giovanissima sposa. Sette anni ha impiegato l’autrice per scrivere con il dovuto distacco le duecento pagine di questo memoir, che resta tuttavia molto intimo, ricco di finezza psicologica e occasionalmente abbellito da immagini di grande lirismo, come ci si aspetterebbe da un’artista figlia di artisti.

Saturday, February 19, 2011

Krystyna Kuhn
Il segreto del Grace College
Traduzione di Roberta Zuppet
Nord
Pagine 302, € 16

Tutti hanno qualcosa da nascondere, recita il sottotitolo: eccome se ce l’hanno. I fratelli Julia e Robert Frost (sì, Robert Frost), protagonisti del romanzo, arrivano all’elitario Grace College per sfuggire a un passato traumatico, e anche gli altri personaggi non sono da meno, dalla rabbiosa Angela, costretta alla sedia a rotelle e destinata a un tragico destino, alla irritante e falsa Debbie, fino all’aitante e impassibile Alex, tutor delle matricole. Ma il Grace College stesso sembra celare segreti. D’altronde la sua posizione isolata in una foresta del Canada, non segnalata sulle cartine, ne fa il luogo ideale per avvenimenti strani. Tutto inizia quando Julia riceve un sms su un numero di cellulare che non ha mai dato a nessuno, e successivamente è Robert a essere testimone della scomparsa di una strana creatura nel lago, la notte della festa di benvenuto alle matricole. Un mondo high tech, scopriremo, non è incompatibile con il mistero.
Il segreto del Grace College, primo romanzo di una serie della tedesca Kuhn, non è originalissimo, ma funziona ed è terribilmente accattivante. Lo spleen adolescenziale è espresso dalle voci di una serie di personaggi disadattati, ciascuno a suo modo. In particolare Robert, sensibile e intellettuale, per cui la sorella Julia prova un senso di protezione (fortunatamente non ci sono vampiri maliardi continuamente respinti al liceo, né fanciulle pronte ad affidarcisi passivamente). È evidente che la Kuhn ha dei riferimenti ambiziosi e ha fatto suo il senso del luogo tipico di alcuni dei migliori horror. Se viene spontaneo pensare all’ambientazione di Shining, un passaggio in particolare – “[Robert] aveva notato più di una volta che la struttura del luogo non andava. Le pareti apparivano bombate, i lunghi corridoi sembravano curvi” – non può non suonare come un felice richiamo alla casa obliqua, viva e malvagia del magnifico L’incubo di Hill House di Shirley Jackson.

Wednesday, January 12, 2011

Rebecca Connell
L’arte di dirsi addio
Traduzione di Silvia Bre
Einaudi
Pagine 262, € 17,50

Louise è inglese e ha ventitre anni. Sua madre Lydia è morta quando lei era piccola, in un tragico incidente la cui causa indiretta è stata un uomo con cui Lydia aveva una relazione, Nicholas, amico di suo padre. La ragazza, assunta una falsa identità, decide di indagare su questi lontani eventi scoprendo verità inattese sul rapporto tra due coppie e sul proprio passato.
Giocato tra diversi punti di vista (Louise/Nicholas) e prospettive temporali (il passato in cui si svolse la relazione/il presente dell’indagine), The Art of Losing è un romanzo di grande presa. La trentenne Rebecca Connell, al suo esordio narrativo (seguito da Told in Silence), costruisce una vicenda esemplare di tradimento che tocca temi eterni: la passione e l’ossessione, la natura dei legami umani – con la forza della loro apparente casualità – le motivazioni che stanno dietro a un matrimonio, la dimensione maschile e femminile. L’autrice esplora le complesse dinamiche tra i quattro attori: il virile, deciso Nicholas e la materna Naomi, l’enigmatica, manipolatrice Lydia e il trepido Martin, scoprendo a poco a poco le loro vere nature. Anche per Louise e Adam, figlio della prima coppia, c’è un incontro fatale dietro l’angolo.
Se alla Connell si può muovere una critica, oltre a qualche improbabilità narrativa che tuttavia non disturba, è che la sua opera prima sembra addirittura troppo perfetta: un meccanismo thriller ben oliato che corre verso un finale abbastanza intuibile, e insieme un dramma psicologico venato di tristezza che, tuttavia, non va sotto la superficie, non si sporca mai davvero le mani. Ci si aspetta costantemente un climax, un divampare di emozione che strazi gli animi, una catarsi, trovandosi invece una scena finale più d’effetto che pregnante. Not with a bang, but a whimper.
(Einaudi, perché tanti grossolani refusi nelle ultime pubblicazioni?)