Tuesday, December 16, 2008

John Updike
Le streghe di Eastwick
Traduzione di Stefania Bertola
Guanda
pagine 328, € 17,50

Ritorna sugli scaffali il celebre romanzo di Updike, reso celebre da un film hollywoodiano del 1987 che stravolse tuttavia lo spirito dell’opera letteraria. Alexandra, Jane e Sukie sono tre divorziate dal temperamento artistico che vivono in una claustrofobica cittadina del New England verso la fine degli anni Sessanta. La loro libertà nei costumi dà scandalo nella piccola comunità pettegola, mentre l’amicizia che le lega è il fulcro che permette loro di esercitare la magia, traendo forza dai ritmi della natura. La loro unione verrà scossa dall’arrivo dell’untuoso ma affascinante Darryl Van Horne (devil... horn: chi sarà costui?) che le coinvolge in un lascivo ménage à quatre, ma che le lascerà per un nuovo inaspettato personaggio dal nome altrettanto evocativo.
Non si sa bene da che parte prendere The Witches of Eastwick, un romanzo che era forse più incisivo nei materialisti anni Ottanta. Le tre streghe sono donne che, a differenza delle altre, hanno imparato a usare il proprio innato potere. Esprimono la propria aggressività tramite una magia molto nera, che fa spuntare penne e rametti nella bocca di una donne saccente e frustrata e scatena mali ovunque nel corpo di un’altra, vista come rivale. La loro femminilità è sensuale e dedita ai piaceri in modo quasi meccanico, mentre i figli rappresentano una seccatura da gestire nel modo più indolore possibile. Provocazioni che alla lunga suonano sterili e che, accentuate dall'inevitabile bisogno di un marito per le tre donne, hanno fruttato a Updike critiche di misoginia. Se siano le stesse streghe di Eastwick oggetto di satira, lasciamo decidere al lettore. L’impressione è che i personaggi non prendano vita del tutto. Se il finale recita, nella tipica prosa fiorita di Updike, “la vita come fumo si alza in spirali e diventa leggenda”, il romanzo però non diventa mai leggenda, mai abbastanza epico o tagliente o toccante.
Non è d’aiuto la scarsa cura redazionale dell’edizione Guanda, che consegna alle stampe perle come “anedotto” e “un’errore”: non si investe più nei bravi correttori di bozze?

Tuesday, October 21, 2008

Ann Patchett
Corri
Traduzione di Silvia Piraccini
Ponte alle Grazie
pagine 284, € 15

Boston, ai giorni nostri. Bernard Doyle, ex-sindaco democratico, porta i riluttanti figli Tip e Teddy a una conferenza di Jesse Jackson jr. Bernard è bianco, i due ragazzi, adottati in tenera età, sono neri. Da questa scena famigliare manca per ora Sullivan, il primogenito indolente. Al ritorno dalla conferenza, mentre imperversa una tormenta di neve, Tip sta per essere investito in pieno da un SUV e solo l’intervento di una donna di colore con figlioletta al seguito lo salva. A rimetterci più di tutti sarà proprio la donna, su cui i Doyle iniziano a farsi domande, soprattutto da quando notano che la ragazzina, Kenya, sa molte cose di loro. Perché, e cos’hanno a che fare con loro queste due persone? Nell’arco di ventiquattr’ore le vite di tutti i personaggi cambieranno drasticamente.
Quinto romanzo dell’autrice del celebrato Belcanto, Corri tradisce grandi ambizioni. I temi che affronta sono importanti: i conflitti razziali e sociali, ineludibili persino per i progressisti benpensanti; il concetto di famiglia come microcosmo abitato dalle persone che il destino mette sulla nostra strada ancor prima da quelle cui siamo legate dal sangue; il talento innato e la vocazione da seguire nella vita. La Patchett aspira all’afflato drammatico di un Richard Mason o di un McEwan, e non risparmia su tensione o senso di fatalità, anche se l’esito dei suoi sforzi assomiglia più a una (buona) sceneggiatura televisiva che ad alta narrativa. Corri è una lettura molto piacevole ma non innovativa. E allora non mancano nella storia: la ragazzina troppo matura per la propria età, il padre dai grandi ideali e dalle altrettanto grandi aspettative, il fratellastro apparentemente cinico segnato dalla vita; e poi il grande segreto da portare fin dentro la tomba, il singolo momento catartico in cui i tutti i personaggi si riuniscono in armonia, l’immagine forte e ricorrente (la corsa come mezzo per essere più forti della vita stessa).

Tuesday, September 2, 2008

Anne Tyler
Ragazza in un giardino
Traduzione di Laura Pignatti
Guanda
pagine 309, € 16,50

Baltimora, 1960. La signora bene e neovedova Pamela Emerson, affacciandosi alla finestra della propria enorme villa, scorge il giardiniere urinare sulle rose. Nonostante sia in servizio presso di lei da venticinque anni, lo licenzia in tronco. Rimasta sola alle prese con delle pesanti sedie da giardino, viene aiutata da Elizabeth, una ragazza di passaggio in cerca di un lavoro che si ritrova assunta come "uomo tuttofare" in meno di un'ora. La signora è inizialmente perplessa: come può una giovane essere distratta così facilmente dai propri programmi? Non ha obiettivi nella vita?...
Si apre così Ragazza in un giardino, con la casualità leggera e fatidica che caratterizza la vita, ennesimo tassello della grande commedia umana di una delle più amate autrici statunitensi, sua opera numero 4, scritta nel 1972. I romanzi di Anne Tyler sono, al di là della retorica, veri. Offrono momenti strazianti quasi insopportabili e inaspettate chiusure ottimiste, mettono in scena personaggi eccentrici, fallibili e insieme amabili, colti nei loro aspetti più intimi e inaspettati.
Protagoniste sono sempre le famiglie: ogni nucleo famigliare, secondo Anne Tyler, è un microcosmo unico e un po' folle agli occhi degli altri, governato da leggi tutte sue. E quindi come in Turista per caso, nella famiglia degli Emerson, composta dalla vedova e da sette figli adulti poco presenti, c'è bisogno di un punto di vista esterno, di un collante, di un punto di equilibrio che sarà rappresentato dalla giovane Elizabeth. Concreta, schietta, senza fronzoli, la ragazza incarna una femminilità inusuale (soprattutto per il 1960) e un modo anticonformista di seguire il corso degli eventi che la accomuna alla Muriel di Turista per caso. Gli Emerson si aggrapperanno a lei, chi amandola, chi odiandola, chi provando perplessità nei suoi confronti, tutti coinvolgendola comunque nei loro problemi. Elizabeth è un personaggio di paradossi, porta caos e ordine insieme, diventa il centro dell’attenzione altrui ma fugge dai legami, è una figura materna ma dai modi adolescenziali. Un altro personaggio indimenticabile nel mondo di Anne Tyler, un’altra storia capace di spezzare il cuore e ispirare speranza subito dopo.

Thursday, June 26, 2008

Richard Mason
Le stanze illuminate
Einaudi, pp. 495, € 18,50
Traduzione di Giovanna Scocchera

Richard Mason, ex-enfant prodige della letteratura anglosassone, ritorna a quasi dieci anni dal fortunatissimo esordio con Anime alla deriva, portentoso mix di romance e thriller, e dopo un secondo romanzo meno appassionante, Noi, penalizzato dalla riscrittura a uso del mercato statunitense.
Con The Lighted Rooms lo scrittore di origine sudafricana torna in gran forma, dando sfogo a un'immaginazione curiosa e osservatrice che sa mettersi al servizio dell'oggetto della narrazione. Mason è evidentemente attratto dalle storie di ampio respiro, in cui il passato e il presente dialogano in una ideale circolarità e la finzione non prescinde né dalla realtà presente né dalla memoria storica. E' evidente nella vicenda dell'anziana Joan, l'atipica eroina del romanzo, che prima di concludere la propria vita in una lussuosa casa di riposo visita insieme alla figlia i luoghi della propria giovinezza in Sudafrica. Per una serie di coincidenze, verrà a conoscenza della storia tragica della propria famiglia negli anni della guerra anglo-boera, e nella sua mente minata dall'Alzheimer il passato inizierà a rivivere confondendosi con il presente, le vicende personali con quelle di altri oscuri personaggi. Mentre in Joan si alternano il sollievo dell'immaginazione e l'angoscia per orrori lontani e non, il suo rapporto con la figlia Eloise, carrierista con qualche conto ancora in sospeso con la vita, trova un nuovo e più sincero modo di essere.
Mason crede profondamente nel compito dello scrittore: documentatosi su autentici diari del tempo della guerra, si fa testimone di storie che altrimenti andrebbero perdute. Racconta i propri personaggi con compassione, acume e ironia, senza temere né il romanticismo né l'assurdo. Unico difetto nella sua scrittura è la tendenza a certe facili soluzioni narrative, le coincidenze un po' implausibili, la positività a tutto tondo di certi personaggi di contorno, che nonostante ciò non minano la compattezza di un romanzo quasi perfetto, impossibile da trascurare.

Friday, April 18, 2008

T. Coraghessan Boyle
Identità rubate
Einaudi, pp. 390, € 22
Traduzione di Marilia Strazzeri

Talk Talk è il titolo originale dell'ultimo romanzo di T. C. Boyle, la cui edizione italiana sposta l'attenzione dal tema della comunicazione a quello dell'identità. Ma le due tematiche sono intrecciate indissolubilmente nella storia di Alex Halter, giovane insegnante sorda che, finita erroneamente in galera, scopre che qualcuno, un uomo, le ha rubato nome e identità e perpetua da anni una truffa che gli permette di vivere una vita agiata a spese sue e di altre persone cui negli anni ha rubato l'identità. Insieme al fidanzato Bridger, Alex intraprende una ossessiva caccia all'uomo attraverso vari stati USA che Boyle racconta in parallelo alla vita turbolenta di Peck, alias il secondo Alex Halter, e della sua ignara fidanzata-trofeo Natalia.
Halter, ovvero l'altro, l'alter ego: Identità rubate è una singolare storia sul doppio che non appartiene al genere fantastico, ma anzi è calata in una realtà molto concreta e contemporanea, e al contempo un thriller atipico, in cui anche l'anti-climax finale non disturba. Alex e Peck sono due immagini che si guardano e si confrontano attraverso un immaginario specchio. La donna, abituata da sempre a porsi in relazione con un mondo difficile che, letteralmente, non parla la sua stessa lingua, ha un'identità forte, costruita e difesa con determinazione, che non dipende da luoghi, beni materiali o ruoli sociali. Tutto quello che, al contrario, serve a Peck per creare le proprie, fluttuanti identità: rubate, comprate, messe in scena dentro a case costose, tramite oggetti lussuosi, appariscenti, in una grande finzione destinata inesorabilmente a crollare quando l'uomo viene messo di fronte alla realtà delle proprie origini.
In mano a un narratore meno esperto, il romanzo sarebbe risultato raccogliticcio e didascalico, ma Boyle gestisce benissimo il suo delicato materiale. I personaggi creati dall'autore sono forti, difficile da dimenticare: il sanguigno Peck, il debole Bridger, e soprattutto la spigolosa e determinata Alex, il cui handicap viene affrontato in maniera non condiscendente.

Sunday, March 2, 2008

Newton Thornburg
La strana vita di Cutter e Bone
Fanucci, pp. 320, € 16
Traduzione di Daniela Middioni

Cutter and Bone: un titolo che evoca visioni macabre, mutilazioni, umorismo nero. C'è tutto questo nel romanzo di Newton Thornburg, un autentico classico americano degli anni post-Vietnam, pubblicato per la prima volta nel 1976. E' la storia, thriller sui generis, del reduce Alex Cutter, privato in guerra di un occhio, un braccio e una gamba, del suo amico e compagno di bevute Richard Bone, sano, attraente, gigolo a tempo perso, e di Mo, moglie negletta di Cutter e madre del loro bambino. Cutter ha una personalità tanto trascinante quanto folle e autodistruttiva, che si esprime attraverso un interminabile sproloquiare tra sarcasmo, filosofia e creative menzogne. Una serie di eventi fortuiti porta la coppia di amici sulle tracce di un multimiliardario che Bone crede colpevole dell'omicidio di una ragazza, e che Cutter progetta di ricattare. L'avventura on the road che porta i due uomini dall'assolata California alle montagne degli Ozark avrà conseguenze tragiche in modi inaspettati.
La strana vita di Cutter e Bone è un romanzo pressoché perfetto, il ritratto a colori vividi di un'epoca in cui "all'età d'oro dell'ipocrisia, dei piedi nudi, dell'acido e dell'acquario seguì un senso di disillusione o stanchezza". Alla morte degli ideali, per i due amici sembra non esserci un posto nel mondo: Bone ha abbandonato la vita borghese, il lavoro e la famiglia, mentre Cutter vede nel miliardario Wolfe, il presunto omicida, il simbolo di chi ha l'oscuro potere potere di manovrare e sottomettere gli altri, di mandarli a combattere in una guerra assurda, senza pagare mai in prima persona.
Thornburg, al grande acume politico e sociale, unisce le qualità di un grande narratore, capace di prosa brillante anche quando la storia è più intrisa di disperazione, e di dialoghi scorrevoli e realistici. Cutter e Bone è un romanzo dall'intensità cinematografica – ed è stato infatti tradotto in film pochi anni dopo la pubblicazione – e insieme caratterizzato da una grazia e un'umanità profonda che neanche il cinismo ostentato dei suoi disperati protagonisti riesce ad appannare.