Monday, January 22, 2007

EUDORA WELTY
La figlia dell’ottimista
Fazi, pp. 187, €13,50
Traduzione di Isabella Zani

America degli anni Cinquanta: da una accogliente cittadina del Mississippi un anziano giudice va a farsi operare agli occhi a New Orleans, dove viene raggiunto dalla figlia Laurel, vedova di guerra, che veglia su di lui insieme alla matrigna Fay, una texana volgare ed egoista. Nonostante il buon esito dell’operazione, la convalescenza dell’uomo sembra protrarsi all’infinito, finché egli non si lascia passivamente morire. Il ritorno della salma al paese natio per il funerale è l’occasione di incontro e scontro tra Laurel, attorniata dalla sua gente, e Fay e la sua rozza famiglia.
Che cosa ha portato il giudice a sposare la quarantenne Fay, così diversa dalla donna che aveva precedentemente amato, la defunta madre di Laurel? Il romanzo è un quieto ma inesorabile dispiegarsi di rivelazioni. A mano a mano che Laurel ripercorre con la memoria il suo passato, emergono i tasselli che ricompongono il quadro di un’intera vita, familiare e individuale, mentre il conflitto tra diverse personalità e modi di vivere esplode in tutta la sua asprezza.
Lo stile della Welty, celebrata narratrice americana, è un naturalismo pacato ma penetrante; ha un formidabile occhio per le scene di vita quotidiana, che si animano davanti agli occhi del lettore. Non si tratta però di una forma di minimalismo distante: mentre Laurel scopre i “segreti” delle persone che ha amato, l’apparente casualità iniziale lascia il posto a uno struggente climax emotivo tutto interiore e a una rivelazione sul senso degli eventi vissuti e della memoria. Unica pecca veniale, qualche metafora – la perdita della vista, l’uccello in trappola – che appesantisce la fluidità della narrazione.
E’ un’opera di grande maturità, in cui l’autrice si rifà a eventi dolorosi della propria biografia, e che le valse un premio Pulitzer. Un’altra valida narratrice tra le nutrite fila di Fazi (da Tim Winton a Colm Tóibín a Hubert Selby Jr).

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