Tuesday, January 23, 2007

RIVELAZIONI
MARTINA COLE

Originaria dell’Essex, UK, Martina Cole è autrice di grande successo in patria e nel mondo: undici romanzi incentrati sul mondo criminale londinese, più di tre milioni di copie vendute globalmente, due libri – Dangerous Lady e The Jump – adattati per la televisione. Storie forti di grande attualità, crudo realismo e trame coinvolgenti caratterizzano il suo stile peculiare. Editrice Nord ha avuto il merito di proporla al pubblico italiano per la prima volta, con il romanzo The Know, adattato con il titolo Io lo so: è la storia di una prostituta, Joanie, cui rapiscono e uccidono la figlia minore Kira, ragazzina graziosa e amata da tutti, segnata da un lieve ritardo mentale. Tra i personaggi pericolosi che popolano il mondo di Joanie, sarà suo figlio Jon Jon, giovane criminale in ascesa, a cercare vendetta per la sorellina.
In occasione dell’uscita del romanzo, nello scorso marzo, abbiamo incontrato l’autrice, una persona brillante e molto generosa, che ci ha reso partecipi della sua poetica e della sua visione del mondo.

La prima domanda sul suo romanzo, così appassionante e particolare, è di rito: come è arrivata a scrivere di ambienti così difficili, dominati dalla violenza, dalla droga, di temi così duri?
È una domanda a cui ho dovuto rispondere molte volte, sì. Il motivo è che io provengo da ambienti simili a quelli che descrivo. Si scrive di quello che si conosce, e questo è il mondo che io conosco meglio. Si può dire che adesso c’è un certo interesse per come vive “l’altra metà del mondo”... per così dire. Fino a un po’ di tempo fa la gente era interessata alla vita dei ricchi, c’erano le serie tv come Dallas o Dinasty... o Dallasty, come le chiamavano. Oggi invece la gente vuole sapere anche come vivono gli altri strati della società, quelli che stanno nell’ombra. Vogliono comprendere questo mondo, sapere come mai una donna diventa una prostituta: non solo quello che fa ma perché lo fa e questo è ciò che interessa a me.

L’aspetto che più mi ha colpito è che non ci sono buoni o cattivi, ci sono sfumature nei codici morali che sono molto varie. A seconda del comportamento di un personaggio possiamo iniziare a pensare che sì, sia una persona abbastanza morale e onesta, ma poi possiamo cambiare idea. Non c’è nulla di scontato, di prefissato, e questo ovviamente fa pensare il lettore, lo fa ragionare, e può creare confusione. Mi chiedevo se questo aspetto le ha attirato delle critiche, dato che non a tutti piace doversi interrogare costantemente sulla moralità dei personaggi.
Quando è stato pubblicato il mio primo libro in Gran Bretagna nessuno sapeva cosa fare di me, non sapevano dove collocarmi nel mondo editoriale, e per molti anni sono stata ignorata, nonostante le mie vendite cominciassero a salire. Per qualche motivo non sapevano che fare di questa donna, bionda, priva di un’istruzione documentata... anche se io in realtà ho sempre letto molto. Per anni non ho risposto ai criteri di cosa deve essere un autore. Anno dopo anno, però, il mio successo è continuato e gli editori hanno iniziato a capirmi. Adesso vanno alla ricerca di una nuova Martina Cole da mettere nei loro cataloghi.
Per me l’importante è scrivere delle situazioni della vita reale: ci sono molte situazioni nella vita in cui pensiamo che una persona sia in un modo, invece poi scopriamo che non è così. Basta chiedere a qualsiasi uomo o donna che abbia divorziato, per esempio. Io vado un passo più in là, mi metto ad analizzare e cercare di capire perché le cose vadano in un certo modo e perché le persone siano come sono, e le sorprese sono ovunque. Nel mondo degli affari, ma non solo: in qualsiasi campo e sfera della vita ci sono persone che non sono quello che sembrano.
Penso che ciò che si apprezza dei miei libri è che non soltanto c’è una storia da seguire, ma emerge anche il modo in cui le persone vivono la propria vita. Cerco di mettere in luce le situazioni quotidiane, dal momento in cui una persona si alza la mattina e deve portare i figli a scuola fino a quando va a letto alla sera, osservando come riesce a gestire certe situazioni. Ci sono molte cose sbagliate che si fanno per motivi giusti e cose giuste che si fanno per motivi sbagliati, e questi sono aspetti su cui mi soffermo. Certo, il mondo è difficile, può essere spaventoso e può portare confusione nelle persone. Io cerco di scrivere di quelle parti della società che nella vita cerchiamo di ignorare, anche se sappiamo che non dovremmo.

Ha mai subìto censura sui suoi romanzi?
No, in realtà no, e siamo molto fortunati in Inghilterra in questo senso. Soltanto, i miei libri non sono permessi in alcune carceri, in particolare in quelle di massima sicurezza, dove sono detenuti i molestatori sessuali e i pedofili. Questo mi fa molto piacere perché non vorrei che li leggessero comunque.
Diciamo che in questo caso non è davvero censura, solo la constatazione che certi argomenti non sono adatti a certe persone.

Possiamo dire che i suoi sono romanzi sociali, la cui lettura ha una particolare utilità per le persone?
Sì, qualcuno ha definito i miei libri una sorta di social commentary. Sul “Times Literary Supplement”, di recente, un recensore si è soffermato sulla terminologia usata nei miei romanzi, la lingua della strada, dicendo che forse tra cent’anni si discuterà di questo tipo di slang e si cercherà di capire che cosa significasse esattamente. Proprio come oggi si discute della lingua di Shakespeare per capire cosa significassero le parole usate in quel modo, questo
linguaggio sarà documento della nostra epoca.

Ecco una curiosità che avevo: ci può fare qualche esempio di espressioni che noi, leggendo i suoi romanzi in traduzione, ci perderemo?
Nell’East London c’è il dialetto cockney, che è basato soprattutto sulle rime: è un gergo astruso che è stato creato oltre cent’anni fa dai criminali come linguaggio segreto per non farsi comprendere da nessuno. Per esempio, rhythm and blues sta per shoes, scarpe, North and South sta per mouth, bocca, e persino Brad Pitt è diventato shit!... Qualche tempo fa c’era un ministro di nome Edward Heath e aveva dei denti enormi, così il suo nome è diventato un eufemismo per teeth, denti. In UK c’è una soap opera molto popolare, Eastenders, i cui personaggi parlano il cockney... e sono quasi tutti criminali. Gli Eastenders sono gente molto “avanti”, tutto quello che conoscono viene descritto con questo colorito linguaggio, e ciò che ne risulta è una visione molto acuta della realtà. Un altro esempio... per dire soldi si dice bread, pane. Ricordo che una volta, da giovane, vidi una enorme scritta su un muro che diceva “La vita è come un enorme sandwich di merda: più pane – denaro – c’è, meno senti il sapore della merda”. Questa frase mi ha colpito molto! Ma non mettetelo nell’intervista, i lettori potrebbero essere troppo sconvolti. [I nostri lettori sicuramente saranno abbastanza forti. NdR].

La storia di The Know mi ha fatto pensare a un romanzo molto famoso, Mystic River di Dennis Lehane.
Sono molto contenta di questo paragone, anche se il mio libro in UK è uscito prima. Pensando al film che Clint Eastwood ha tratto da Mystic River, mi sovviene un film recente che mi è piaciuto molto, in cui lo stesso Kevin Bacon interpreta splendidamente un pedofilo [The Woodsman - Il segreto]. È molto interessante vedere un personaggio che non vuole essere quello che è e osservare le cose dal suo punto di vista: qual è la sua vita, cosa significa per lui questa condizione. Io ho voluto raccontare la storia dal punto di vista di una persona come Joanie, la protagonista, a cui rapiscono la figlia non certo allo scopo di un riscatto, che non potrebbe neanche pagare. Inavvertitamente, tutti i personaggi sono coinvolti in qualche modo in quello che succede e contribuiscono a far sì che ciò si verifichi.
È una cosa che succede in continuazione nel mondo: pensiamo a chi vende cocaina per la strada e a chi la compra, usandola come una droga sociale: in realtà non si rende conto di quello che avviene in Colombia, dove interi villaggi vengono distrutti per coltivare la cocaina. Questo, in una scala più ridotta, è quello che ho voluto raccontare nel mio romanzo: come tutti noi possiamo essere coinvolti nel causare dei disastri senza rendercene conto, perché non vediamo il quadro complessivo, chiusi come siamo nel nostro microcosmo. È una cosa in cui credo molto: è fondamentale che ognuno si occupi di quello che gli succede vicino, poiché da una piccola cosa può nascerne una grossa. Molti pensano che i piccoli gesti che compiono sono per forza innocui, ma è con quei mattoncini che si costruisce il muro!

Nel prologo sappiamo immediatamente che la piccola Kira è stata rapita e uccisa...
Sì, fin dal mio primo libro questo è il mio modo di raccontare la storia: si sa dall’inizio che cosa succede, a differenza di altri scrittori che trascinano il lettore nella vicenda poco per volta. Io non voglio che il lettore si ricordi che una bambina è stata rapita e uccisa, voglio che si ricordi del personaggio, che lo conosca poco per volta e arrivi ad amarlo veramente: questa è la cosa che mi importa. Qualcuno mi ha anche detto: perché non l’hai tenuta in vita? Ma è così che avviene nella vita reale. Non sempre c’è il lieto fine.

Quali sono le sue letture preferite, le sue influenze?
Quando sto scrivendo non leggo mai libri nuovi, ma cose completamente diverse dai romanzi. Conta molto ciò che ho letto sui giornali o un’espressione sentita da una persona. Molte volte mi viene in mente la figura di un personaggio e poi decido che cosa fargli fare. Scrivere un romanzo è un po’ come giocare a fare Dio, puoi fargli accadere quello che vuoi, renderlo felice oppure no. In genere sono più attratta dagli eventi tristi e tragici, soprattutto quelli che potrebbero essere evitati, e dalle condizioni difficili, di povertà.

Lei è ottimista o pessimista sullo stato della società?
A volte sono ottimista, a volte pessimista. Diciamo che sono un’ottimista con una vena di realismo. Cerco di guardare sempre al lato positivo delle cose.

Always look on the bright side of life...
Sì, come cantano in Brian di Nazareth dei Monty Python! Mi viene in mente una mia amica molto religiosa a cui il figlio, per farle uno scherzo, ha messo il DVD di Brian nella custodia di La passione di Cristo...
Ai miei personaggi succedono cose che schiacciano l’ottimismo, ma la cosa importante da considerare nella vita, secondo me, è che la felicità è uno stato d’animo. Molte persone ne vanno alla ricerca tutta la vita senza rendersi conto che in realtà è sempre stata lì vicino. Questo avviene anche perché la nostra società, con le pubblicità per esempio, ci bombarda di messaggi su cosa dobbiamo avere e fare per essere felici, mentre spesso lo siamo veramente quando facciamo le cose più semplici con le persone che amiamo. Io nella mia vita ho avuto un grande successo, ho ottenuto molto, ma ho perso i miei genitori quando avevo ventuno anni e non ho mai avuto modo di apprezzarli perché ero troppo giovane... A quell’età non si capiscono e apprezzano davvero i propri genitori.

Quali altri libri consiglierebbe a chi ha amato Io lo so?
Direi Faceless, la cui protagonista, Marie Carter, esce di prigione dopo dodici anni. È stata incarcerata per avere ucciso due amiche in modo molto stupido, in preda all’alcool, quando era molto giovane. Quando noi la conosciamo, appena uscita di prigione, è diventata una persona diversa, quella che sarebbe potuta diventare se fosse nata e cresciuta in un altro ambiente. Negli anni di detenzione non ha avuto visitatori, né amici né familiari; quando torna in libertà va a cercare le sue due figlie e si ricostruisce una vita, cercando di non ricadere negli stessi errori. Trova le figlie e scopre che una sta riprecorrendo le sue stesse orme. Noi scopriamo attraverso gli occhi della madre, che osserva la vita della figlia, come era stata la sua stessa vita da giovane. È un libro molto forte, che in Inghilterra i genitori consigliano alle figlie per metterle in guardia dai pericoli che corrono. Un’altra cosa interessante è che la figlia di Marie ha una figlia a sua volta, e le due donne cercano di interrompere questo ciclo. Come tutti i miei libri, anche questo non è per i deboli di cuore. Ha comunque un finale semi-lieto.
Tutti i miei libri parlano di questioni con forte carica emotiva. Un altro è Two Women e parla di violenze domestiche, di come una donna arrivi ad ammazzare il marito. In seguito alla pubblicazione di questo libro sono stata coinvolta nel finanziamento di case di accoglienza per chi ha subìto violenze simili.

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