Friday, October 22, 2010

Thomas Cobb
Crazy Heart
Traduzione di Cristiana Mennella
Einaudi
Pagine 284, € 18

1987. A cinquantasei anni, “Bad” Blake è un cantautore country sul viale del tramonto. Alcolista e sfatto, è reduce da quattro matrimoni falliti, con un figlio che non vede da quando era bambino. Eppure in passato ha avuto tutto, successo, denaro, droghe e donne adoranti. Ha fatto da mentore al musicista Tommy Sweet che ora è una star, mentre a lui non rimangono che esibizioni in scalcinati locali di serie B. Durante un tour conosce Jean, una giovane giornalista intenzionata a raccontare la sua vita, ed è l’occasione per una conoscenza intima che da tempo non capitava al malinconico Bad.
Riscoperto grazie al recente film omonimo interpretato da Jeff Bridges, Crazy Heart è una vera e propria ballata country in prosa con tutti gli ingredienti che ci si aspetterebbe, il che costituisce la forza e insieme il limite del romanzo. Sono gli anni Ottanta, il country non è ancora globalizzato e annacquato dal pop dei grandi nomi, è un genere che esprime la durezza del vivere con un romanticismo dolce-amaro. Nel caso di Bad, personaggio pubblico e persona si confondono: è un uomo impulsivo e generoso, sempre pronto a darsi – ai suoi musicisti, al pubblico, alle donne – quanto a farsi del male. Non è un artista maledetto da cliché, nonostante i suoi demoni, né la star che si omologa ai dettami dell’industria, come l’ex-compagno di band Sweet.
Cobb, alla sua opera prima come scrittore, dà prova di grande controllo della sua materia narrativa: il suo stile è improntato a un solido realismo che non diventa mai minimalista. Salta molti passaggi introduttivi (sogni e ricordi di Blake sono tutt’uno con la sua realtà) ed eccelle nel dialogo, tanto che il romanzo è una sceneggiatura filmica pressoché pronta per il set. Non ci sono sorprese ma c’è autenticità in questa storia di quasi-redenzione che, tuttavia, sembra perdere un po’ di sapore nella traduzione italiana.

Wednesday, July 28, 2010

Jonathan Coe
I terribili segreti di Maxwell Sim
Traduzione di Delfina Vezzoli
Feltrinelli
Pagine 368, € 18

Jonathan Coe, con il precedente La pioggia prima che cada, sembrava avere abbandonato la componente ironica a favore di una visione della vita più malinconica e cupa. The Terrible Privacy of Maxwell Sim segna quindi un gradito ritorno alla commistione tra dramma e umorismo a denti stretti – così British – che ha reso celebri romanzi come La famiglia Winshaw e La casa del sonno. Come in queste due opere, Coe costruisce un intreccio ingegnoso che collega passato e presente, scoprendo e unendo elementi che, come in un mystery, svelano verità sepolte.
Maxwell Sim è un uomo qualunque nella Gran Bretagna di oggi: abbandonato da poco da moglie e figlia, in aspettativa dal lavoro a causa della depressione, sente l’impulso improvviso di tornare a far parte del mondo e stringere nuove relazioni. Coglie al volo una (dubbia) opportunità di lavoro che lo porta ad attraversare il paese su una Prius carica di spazzolini da denti ecologici, ma le deviazioni dal percorso prestabilito lo porteranno a rivisitare la propria storia personale.
Chi ama, di Coe, la sincerità, la partecipazione emotiva e la fiducia nel potere della narrativa non resterà deluso. Maxwell Sim, a quarantotto anni, ha ancora molto da scoprire su di sé e questa scoperta passa attraverso il punto di vista di altri personaggi che agiscono nello stesso tempo da narratori, uno dei quali (realmente esistito) è Donald Crowhurst, navigatore dilettante che nel 1968 finse di circumnavigare il globo per vincere una sfida, ma che giunse solo alla morte e alla follia. Con Crowhurst, Max inizia a identificarsi: il suo viaggio è un progressivo abbandono delle rotte a lui note, ma senza epilogo tragico. Dovrà perdersi per ritrovarsi, imparando a mediare con la tecnologia, parte integrante del rapporto con la realtà di ciascun personaggio su cui Coe posa uno sguardo ironico.
Maxwell è un anti-eroe che appare come un perdente perché si è sempre visto come tale, che impara ad aprirsi al mondo, e che forse, alla fine dell’avventura, smetterà di "non piacersi abbastanza", come gli rimprovera la moglie. Un uomo che pensa di non lasciare un segno e che si rimetterà in discussione passando attraverso prove umilianti e scherzi del destino.

Tuesday, June 8, 2010

Ángela Vallvey
L’assassinio come arte poetica
Traduzione di Roberta Bovaia
Guanda
pagine 340, € 18

Ah, la poesia: quale forma letteraria appare più pura, personale e disinteressata? Lontana da esercizi di potere e bassezze commerciali, si direbbe. L’ironico giallo della spagnola Ángela Vallvey Muerte entra poetas dimostra proprio il contrario. Tredici fatidici personaggi – tra icone culturali, celebrità mediatiche e enfant prodige della narrativa – si riuniscono per un convegno esclusivo in ricordo del poeta laureato Alberto Pons, presso la tenuta della vedova, fuori Toledo. Uno di loro viene ucciso e naturalmente tra gli altri dodici si cela l’assassino. A Ignacio “Nacho” Arán, meteorologo, detective dilettante e poeta a tempo perso, tocca indagare, aiutato da una zia anziana ma tecnologicamente avanzata e un giovane hacker.
Dichiaratamente ispirato ai mystery di Agatha Christie, il romanzo è una sorta di engima della camera chiusa contemporaneo, ambientato inoltre in un circolo chiuso, un gruppo d’élite autoreferenziale (il convegno non ha pubblico) per il quale vengono fatti circolare migliaia di euro al solo scopo di preservare l’immagine di un divo della cultura. Nacho, con la sua posizione di outsider rispetto a questo mondo, si ritrova a fare da confidente degli altri poeti e a osservarli dall’esterno; è così che vengono alla luce antichi rancori e rivalità e che nel ricordo altrui prende forma la figura della vittima, piena di ombre.
La Vallvey è caustica nel tratteggiare un mondo di intellettuali pronti a costruirsi piedistalli (Coloma, eterno candidato al Nobel, addirittura non parla con i colleghi) ma che facilmente si rivelano... umani, troppo umani, pronti a distruggere vite altrui a colpi di critiche, attaccati alle proprie posizioni di potere. Cosa determina, in definitiva, chi saranno gli illustri esponenti della cultura di un paese? Merito, casualità, mode, amicizie, strategie? Questa la domanda che sembra porre la Vallvey nel suo feroce divertissement, giallo atipico e intrigante.

Tuesday, April 13, 2010

Mo Hayder
Ritual
Traduzione di Adria Tissoni
Longanesi
pagine 412, € 18,60

Mo Hayder, promessa del thriller inglese del terzo millennio, ritorna alle atmosfere disturbanti che l’hanno resa famosa con romanzi come Le notti di Tokyo, Il trattamento e Orrore sull’isola. Ritual è incentrato su due personaggi, il detective Jack Caffery, alla sua terza avventura nelle pagine della Hayder, e la sommozzatrice Phoebe “Flea” Marley. Tutto inizia nelle acque infide del porto di Bristol, con il ritrovamento di una mano mozzata e con i travagli esistenziali di Flea, protagonista outsider, sulle spalle il peso di un terribile trauma legato proprio alle immersioni: la misteriosa morte dei genitori negli anfratti del Bushman’s Hole, in Sudafrica. L’inizio fa prevedere un intrigante risvolto soprannaturale, ma lo svolgimento della trama tradisce le aspettative e il thriller, incentrato su macabri rituali della stregoneria africana, si rivela presto abbastanza convenzionale.
Flea, a suo agio solo nelle silenziose profondità acquatiche, non soffre solo nella psiche ma anche nel corpo, con un handicap che minaccia di privarla proprio delle immersioni. L’affascinante Caffery è un investigatore ossessionato dalla vendetta, il cui personale trauma ha reso incapace di veri rapporti affettivi. Suo confidente è l’Uomo che Cammina, nomade per scelta, anch’egli preda di demoni personali. Flea riceve a sua volta aiuto da un esotico ed eccentrico personaggio, il quale custodisce segreti oscuri che hanno a che fare con lei e suo padre. Completano il quadro l’amico Tig e il collega Dundas, entrambi coinvolti a vario titolo nel mondo della droga. Suona tutto un po’ eccessivo? In effetti lo è: con il suo affollamento di personaggi danneggiati dalla vita, Ritual non fa che prendere a piene mani dalla gamma di cliché che appesantiscono molti thriller. I cliché (anche narrativi: un esempio, le foto rivelatrici trovate appese proprio nella tana del cattivo) soffocano le potenzialità del romanzo, che risulta farraginoso e faticoso alla lettura. Chi volesse comunque dar loro un’altra chance, potrà vedere di nuovo in azione Flea, Caffery e l’Uomo che Cammina nei nuovi due lavori della Hayder, Skin e Gone.

Wednesday, February 10, 2010

Christopher Isherwood
Un uomo solo
Traduzione di Dario Villa
Adelphi
pagine 150, € 16

Ventiquattro ore nella vita di George, maturo professore universitario di origine britannica nella solatia California. Non si tratta di una giornata qualunque: George ha da poco perduto in un incidente l’amato compagno Jim. Siamo negli anni Sessanta, e nessuno, a parte l’amica Charlotte, è a conoscenza del momento che l’uomo sta vivendo. Il risveglio mattutino che apre il romanzo è un vero e proprio risveglio della coscienza di George, che diventa dolorosamente e acutamente cosciente dell’ambiente che lo circonda, della finitezza della propria vita, della superfluità di tutto. La maschera apparentemente intatta del compassato docente porta in giro il vero George, che incontra così la tronfia vicina di casa, i colleghi, gli studenti diligenti ma senza guizzi, l’emotiva Charlotte e infine Kenny, uno studente dotato con cui l’uomo vive un inatteso momento di intesa intellettuale e forse qualcosa di più.
A Single Man, riportato in auge dal film diretto da Tom Ford, è considerato uno dei primi e migliori romanzi del movimento di liberazione gay, ma la sua qualità letteraria lo eleva al di sopra di qualsiasi manifesto e finalità. Racconta gli effetti inesorabili della perdita tenendosi tuttavia lontano da qualsiasi sentimentalismo, e attraverso lo sguardo straniero – in molti sensi – del suo protagonista racconta lucidamente di un mondo che va cambiando. Sono gli USA neo-consumisti delle highway e dei sobborghi dai nomi pittoreschi, della media borghesia placida e ipocrita, degli insegnanti che si sentono in un certo senso colpevoli di essere veicoli di idee invece che produttori di beni di consumo. George li biasima in cuor suo, poiché vede ancora se stesso come “un rappresentante della speranza”, che “cerchi di vendere a un angolo di strada un brillante vero per un nichelino”: la grande maggioranza non crederà mai vero il brillante, lasciandolo così al sicuro. I brillanti di George, invisibili ai più, sono il dolore, i ricordi, la speranza ostinata di poter ancora vivere il presente nella sua pienezza.

Monday, December 14, 2009

Per Petterson
Fuori a rubar cavalli
Traduzione di Cristina Falcinella
Guanda
pagine 250, € 15

1999: il sessantasettenne norvegese Trond lascia la vita metropolitana di Oslo per ritirarsi nei boschi, in una casa isolata e in parte da riattare, insieme al proprio cane. Alla ricerca di solitudine, con una radio come unica compagnia, si affida a una routine di lavori quotidiani per riempire le proprie giornate e sfuggire ai ricordi del passato. Ma una bizzarra coincidenza – che lui stesso giudica degna di finzione romanzesca – gli fa incontrare Lars, uno dei protagonisti della sua infanzia: è il fratello del suo amico ed eroe personale Jon, con cui Trond visse l’episodio che dà titolo al romanzo, il “furto” di cavalli in una mattina d’estate, nei boschi dove passava la villeggiatura con la famiglia. Il passato torna inesorabile, riaffacciandosi alla sua mente con la serie di eventi che segnò il passaggio da una infanzia idilliaca a un’età adulta complicata e piena di ambiguità e misteri.
Fuori a rubar cavalli è un romanzo strano: è improntato a un quieto realismo (lo stile predilige la coordinata), non cede mai al sensazionalismo e prende in contropiede il lettore, dandogli più di quanto sembra promettere. Trond quattordicenne scopre nuove verità sull’amatissimo padre, che in seguito abbandonerà la famiglia, così come al lettore viene rivelato quasi incidentalmente che cosa lo abbia spinto, da ultrasessantenne, a ritirarsi nei boschi. L’incontro con Lars adulto incrina la monotonia delle sue giornate da eremita, costringendolo a confrontarsi di nuovo con le proprie emozioni e con l’episodio tragico che sconvolse due famiglie e allontanò per sempre l’amico Jon dalla sua vita. La brevità, la mancanza di sentimentalismo e il minimalismo del libro di Petterson (il quale non a caso cita Raymond Carver tra i suoi ispiratori) nascondono in realtà una grande ricchezza e intensità di eventi. Intere esistenze vengono rivoltate da singoli attimi e casualità, mentre la vita interiore del protagonista viene sconvolta da quiete epifanie, che l’autore fa accadere con la maestria del narratore che sa sempre come dosare le parole.

Wednesday, October 14, 2009

T. C. Boyle
Le donne
Traduzione di Andrea Buzzi
Feltrinelli
pagine 446, € 20

Frank Lloyd Wright, innovatore dell’architettura del XX secolo e icona culturale statunitense, è rimasto celebre tanto per le residenze integrate nel territorio e i celebri edifici pubblici come il Guggenheim Museum, quanto per la sua vita scandalosa, che infiammò le cronache tra l’inizio del Novecento e gli anni Trenta. Dopo un matrimonio durato vent’anni e vari affair, ebbe tre turbolente storie d’amore con altrettante donne: la proto-femminista Mamah, la morfinomane Miriam, la ballerina Olgivanna. Per la prima di queste creò addirittura una tenuta nel Wisconsin, che chiamò Taliesin, posto che balzò agli onori della cronaca non solo perché Mamah e Frank vi si rifugiarono abbandonando i rispettivi coniugi e figli, ma anche per per un terribile delitto di cui furono vittime la donna e vari ospiti e aiutanti dell’architetto.
La tragedia e il melodramma attraversano la vita di Wright, che Boyle (residente proprio in una delle sue rinomate prairie house) narra a ritroso, con un espediente che riesce a dipanare la matassa che è Frank Lloyd Wright attraverso gli occhi delle donne che hanno gravitato come tanti satelliti intorno a lui. Per prima l’ingombrante e carismatica madre, poi la moglie Kitty, le amanti e varie governanti, ognuna a modo suo un surrogato materno per un uomo geniale ed egocentrico. Wright è un personaggio già per sé romanzesco e larger than life, insofferente a compromessi e regole, che coinvolse le proprie donne nella realizzazione dei suoi sogni e ideali, ma che fu sempre in qualche modo irraggiungibile, umanamente distante. Boyle, con la sua prosa asciutta e sguardo ironico, crea un grande affresco, vivido e mai banale, l’intensa storia personale di tre donne forti e di un gigante della cultura che in privato si rivela a volte un ometto. Ma anche lo spaccato di un paese ancorato alla propria identità puritana e timoroso del diverso, rispetto al quale, tuttavia, non sempre il progressista Wright e il suo entourage appaiono moralmente superiori.

Monday, August 24, 2009

Joseph Connolly
Vacanze inglesi
Traduzione di Marco Pensante
Il Saggiatore
pagine 375, € 17

Nella Londra del decennio scorso, due coppie di vicini di casa e amici decidono di passare le vacanze nello stesso luogo di villeggiatura. Howard ed Elizabeth sono agiati, Brian e Dotty invece sono quasi sul lastrico, tanto che con gran vergogna devono rassegnarsi ad alloggiare segretamente in una roulotte. A complicare la situazione arrivano l’amica Melody con figlioletta indesiderata al seguito e altri personaggi quali Colin, sedicenne figlio dei due spiantati e in piena crisi ormonale, la splendida Lulu e il suo gelosissimo marito. Nel frattempo, negli Stati Uniti, Katie, capricciosa figlia adolescente di Elizabeth e Howard, maltratta Norman, dipendente di suo padre e insensatamente innamorato di lei. Un party di fine estate riunirà tutti quanti, e con loro le fila delle vicende.
Joseph Connolly racconta un universo di uomini e donne che definiscono se stessi attraverso ciò che possiedono, che si tratti di denaro, status symbol o altre persone. Ossessionati dal sesso, allegramente amorali, sono propensi al tradimento e alla bi-curiosità. Attraversare la vita senza rifletterci troppo su è la loro filosofia di vita. La maggiore vergogna possibile per loro è non avere abbastanza mezzi economici per “stare al passo con i Jones”, come si dice nel mondo anglosassone – e fa abbastanza impressione, in un’epoca di generale recessione, vedere come uno dei personaggi maggiormente ridicolizzati sia Brian, che si dedica al bricolage riutilizzando oggetti dismessi e che, nel tentativo di garantire in qualche modo a moglie e figlio una vacanza, non ottiene che il loro disprezzo.
Il romanzo di Connolly è tutto qua: pervaso da un allegro cinismo, non rinuncia ad alcun equivoco, doppio senso o improbabile coincidenza per portare avanti la vicenda. E’ evidente che l’aspirazione dell’autore è tratteggiare una satira della middle class inglese, ma manca di sottigliezza e di profondità e non va oltre il livello della farsa – complessivamente divertente, ma poco originale e in definitiva trascurabile.
Mark Sarvas
Harry, rivisto
Traduzione di Franco Salvatorelli
Adelphi
pagine 310, € 19

La creatura di Mark Sarvas, critico letterario statunitense celebre per il blog The Elegant Variation, è un accattivante anti-eroe. Dalla sua prima comparsa in una tavola calda, alle prese con un sandwich disgustoso e con una giovane cameriera di cui si invaghisce all’istante, è chiaro che la prerogativa di Harry Rent è fare passi falsi. Incline all’introversione, alla fantasticheria e all’arrendevolezza, schiacciato dal senso di inadeguatezza che ha segnato il suo matrimonio con la privilegiata Anna, ha collezionato una serie di errori, menzogne e disastri, sabotando ciò che di buono aveva la propria vita. E quando si ritrova improvvisamente vedovo, ritenuto indirettamente responsabile della morte di Anna, dentro di lui, incapace di confrontarsi con la realtà, al posto del dolore c’è solo un gran vuoto. Ma le vie della salvezza sono molteplici, e reinventando se stesso in veste di eroe dumasiano (ispirato dal sandwich!), Harry riuscirà finalmente a stabilire un vero contatto umano, trovando anche se stesso.
Harry, Revised è un romanzo molto piacevole, una trascinante commedia cinematografica in versione cartacea, in cui l’elaborazione di un lutto è affrontata in maniera insolita. E’ difficile non parteggiare per Harry, coinvolto in situazioni umilianti e paradossali, nonostante i suoi umanissimi difetti, o proprio per questo motivo. Sarvas unisce al talento umoristico una notevole sensibilità, che infonde un senso non superficiale alle azioni del suo inadeguato anti-eroe. A guastare, purtroppo, l’impressione generale del romanzo sono i punti deboli: la meccanicità di certi processi psicologici (la sequenza di motivazioni che portano al tradimento da parte di Harry e poi alla morte di Anna è poco credibile) e la caratterizzazione bidimensionale dei genitori di lei, una coppia di ricchi da barzelletta, lei fredda, classista snob, lui buono e remissivo.

Wednesday, April 15, 2009

John Banville
Isola con fantasmi
Traduzione di Irene Abigail Piccinini
Guanda
pagine 250, € 15

L’isola è un luogo dal fascino innato, ammantato di mistero, un archetipo che suggerisce solitudine e condizioni estreme dell’io. Una location perfetta per storie fantastiche ed enigmatiche ai limiti del metafisico, in una tradizione che va dall’Odissea a thriller recenti (L’isola della paura di Lehane, Orrore sull’isola di Mo Hayder) fino al fenomeno televisivo Lost.
Isola con fantasmi, opera del 1993 del maestro irlandese Banville, si inserisce in questo filone con una variante complessa e colta. Il romanzo si apre con il naufragio di sette eterogenei personaggi su un’isola del mare d’Irlanda, in un momento temporale imprecisato. Ad attenderli, sembrerebbe, sono il professor Kreutznaer, esperto d’arte al lavoro su un enigmatico quadro del Settecento intitolato Le monde d’or, il grottesco servitore Licht e il narratore, un ex-galeotto ora assistente del professore, che rimane senza nome. I sette naufraghi sembrano essere incarnazioni dei personaggi in scena nel dipinto, mentre uno di loro e Kreutznaer apparentemente si sono conosciuti in passato. Quella che si apre come una vicenda gotica in attesa di risoluzione finale, si rivela progressivamente un accumulo di misteri che si rincorrono in circolo. La chiave potrebbe trovarsi nella mente del narratore, che ripercorre gli eventi che l’hanno portato sull’isola e che è alla ricerca di se stesso, in un costante confronto con i fantasmi del proprio passato. Si susseguono immagini di specularità, duplicità, realtà alternative, a suggerire che l’unità è un’illusione, ed è perciò inutile affannarsi su una soluzione o attendere un colpo di scena che rimetta tutti gli elementi a posto.
La scrittura di Banville è raffinata, sensuale, incline alla sinestesia, ricca di riferimenti colti e di rimandi a opere precedenti dello scrittore. Si tratta di metaletteratura ancor prima che di narrativa, di arte che si interroga sullo scopo dell’arte e sulla sua efficacia nel sondare il mistero della vita umana. Un’opera ambiziosa, e tuttavia eccessivamente filosofica ed eterea.

Thursday, February 12, 2009

Alexander McCall Smith
Il buon marito
Traduzione di Stefania Bertola
Guanda
pagine 234, € 15

Originario del Rhodesia, professore di legge, McCall Smith è noto come autore di libri per ragazzi e di svariate serie narrative di successo. Quella dedicata a Mma Ramotswe è la più nota ai lettori italiani, che attraverso romanzi quali Le lacrime della giraffa e Morale e belle ragazze hanno imparato a conoscere il variopinto universo della investigatrice del Botswana. Mma detta “Precious”, pionieristica fondatrice della No.1 Ladies’ Detective Agency, vive nell’ottavo libro della serie l’ennesima avventura a tinte gialle. Una sequenza di decessi inspiegabili all’ospedale del Botswana, il pedinamento del marito (forse) fedifrago di una donna arrogante, il misterioso furto in una tipografia: questi sono i casi che vedono impegnati rispettivamente Precious, il marito JLB Matekoni, meccanico prestato temporaneamente all’investigazione, e la segretaria di Precious, Grace Makutsi, che si è auto-promossa “detective associata”.
L’esile trama gialla è in realtà un pretesto per esplorare la natura umana attraverso l’occhio attento di Mma Ramotswe, donna dalla natura contemplativa e dal cuore buono che ha scelto di investigare per aiutare la gente. Il vero co-protagonista è il Botswana, ritratto nella pienezza dei suoi colori e nel calore umano del suo popolo, paese per cui Precious, di etnia Tswana, prova un fiero spirito patriottico e di cui rappresenta, nelle abitudini e persino nel fisico, la tradizione. Una filosofia garbata ma solida pervade tutto il romanzo, nelle cui pagine ricorre spesso la parola gentile: gentile è la disposizione d’animo della detective verso la gente, le sue debolezze e i suoi errori, e il caratteristico modo di affrontare le difficoltà di ogni giorno con un sorriso e una tazza di tè rosso. Il romanzo stesso è una storia gentile, dallo stile garbato e piacevole anche se ingenuo e a tratti eccessivamente prevedibile.

Tuesday, December 16, 2008

John Updike
Le streghe di Eastwick
Traduzione di Stefania Bertola
Guanda
pagine 328, € 17,50

Ritorna sugli scaffali il celebre romanzo di Updike, reso celebre da un film hollywoodiano del 1987 che stravolse tuttavia lo spirito dell’opera letteraria. Alexandra, Jane e Sukie sono tre divorziate dal temperamento artistico che vivono in una claustrofobica cittadina del New England verso la fine degli anni Sessanta. La loro libertà nei costumi dà scandalo nella piccola comunità pettegola, mentre l’amicizia che le lega è il fulcro che permette loro di esercitare la magia, traendo forza dai ritmi della natura. La loro unione verrà scossa dall’arrivo dell’untuoso ma affascinante Darryl Van Horne (devil... horn: chi sarà costui?) che le coinvolge in un lascivo ménage à quatre, ma che le lascerà per un nuovo inaspettato personaggio dal nome altrettanto evocativo.
Non si sa bene da che parte prendere The Witches of Eastwick, un romanzo che era forse più incisivo nei materialisti anni Ottanta. Le tre streghe sono donne che, a differenza delle altre, hanno imparato a usare il proprio innato potere. Esprimono la propria aggressività tramite una magia molto nera, che fa spuntare penne e rametti nella bocca di una donne saccente e frustrata e scatena mali ovunque nel corpo di un’altra, vista come rivale. La loro femminilità è sensuale e dedita ai piaceri in modo quasi meccanico, mentre i figli rappresentano una seccatura da gestire nel modo più indolore possibile. Provocazioni che alla lunga suonano sterili e che, accentuate dall'inevitabile bisogno di un marito per le tre donne, hanno fruttato a Updike critiche di misoginia. Se siano le stesse streghe di Eastwick oggetto di satira, lasciamo decidere al lettore. L’impressione è che i personaggi non prendano vita del tutto. Se il finale recita, nella tipica prosa fiorita di Updike, “la vita come fumo si alza in spirali e diventa leggenda”, il romanzo però non diventa mai leggenda, mai abbastanza epico o tagliente o toccante.
Non è d’aiuto la scarsa cura redazionale dell’edizione Guanda, che consegna alle stampe perle come “anedotto” e “un’errore”: non si investe più nei bravi correttori di bozze?

Tuesday, October 21, 2008

Ann Patchett
Corri
Traduzione di Silvia Piraccini
Ponte alle Grazie
pagine 284, € 15

Boston, ai giorni nostri. Bernard Doyle, ex-sindaco democratico, porta i riluttanti figli Tip e Teddy a una conferenza di Jesse Jackson jr. Bernard è bianco, i due ragazzi, adottati in tenera età, sono neri. Da questa scena famigliare manca per ora Sullivan, il primogenito indolente. Al ritorno dalla conferenza, mentre imperversa una tormenta di neve, Tip sta per essere investito in pieno da un SUV e solo l’intervento di una donna di colore con figlioletta al seguito lo salva. A rimetterci più di tutti sarà proprio la donna, su cui i Doyle iniziano a farsi domande, soprattutto da quando notano che la ragazzina, Kenya, sa molte cose di loro. Perché, e cos’hanno a che fare con loro queste due persone? Nell’arco di ventiquattr’ore le vite di tutti i personaggi cambieranno drasticamente.
Quinto romanzo dell’autrice del celebrato Belcanto, Corri tradisce grandi ambizioni. I temi che affronta sono importanti: i conflitti razziali e sociali, ineludibili persino per i progressisti benpensanti; il concetto di famiglia come microcosmo abitato dalle persone che il destino mette sulla nostra strada ancor prima da quelle cui siamo legate dal sangue; il talento innato e la vocazione da seguire nella vita. La Patchett aspira all’afflato drammatico di un Richard Mason o di un McEwan, e non risparmia su tensione o senso di fatalità, anche se l’esito dei suoi sforzi assomiglia più a una (buona) sceneggiatura televisiva che ad alta narrativa. Corri è una lettura molto piacevole ma non innovativa. E allora non mancano nella storia: la ragazzina troppo matura per la propria età, il padre dai grandi ideali e dalle altrettanto grandi aspettative, il fratellastro apparentemente cinico segnato dalla vita; e poi il grande segreto da portare fin dentro la tomba, il singolo momento catartico in cui i tutti i personaggi si riuniscono in armonia, l’immagine forte e ricorrente (la corsa come mezzo per essere più forti della vita stessa).

Tuesday, September 2, 2008

Anne Tyler
Ragazza in un giardino
Traduzione di Laura Pignatti
Guanda
pagine 309, € 16,50

Baltimora, 1960. La signora bene e neovedova Pamela Emerson, affacciandosi alla finestra della propria enorme villa, scorge il giardiniere urinare sulle rose. Nonostante sia in servizio presso di lei da venticinque anni, lo licenzia in tronco. Rimasta sola alle prese con delle pesanti sedie da giardino, viene aiutata da Elizabeth, una ragazza di passaggio in cerca di un lavoro che si ritrova assunta come "uomo tuttofare" in meno di un'ora. La signora è inizialmente perplessa: come può una giovane essere distratta così facilmente dai propri programmi? Non ha obiettivi nella vita?...
Si apre così Ragazza in un giardino, con la casualità leggera e fatidica che caratterizza la vita, ennesimo tassello della grande commedia umana di una delle più amate autrici statunitensi, sua opera numero 4, scritta nel 1972. I romanzi di Anne Tyler sono, al di là della retorica, veri. Offrono momenti strazianti quasi insopportabili e inaspettate chiusure ottimiste, mettono in scena personaggi eccentrici, fallibili e insieme amabili, colti nei loro aspetti più intimi e inaspettati.
Protagoniste sono sempre le famiglie: ogni nucleo famigliare, secondo Anne Tyler, è un microcosmo unico e un po' folle agli occhi degli altri, governato da leggi tutte sue. E quindi come in Turista per caso, nella famiglia degli Emerson, composta dalla vedova e da sette figli adulti poco presenti, c'è bisogno di un punto di vista esterno, di un collante, di un punto di equilibrio che sarà rappresentato dalla giovane Elizabeth. Concreta, schietta, senza fronzoli, la ragazza incarna una femminilità inusuale (soprattutto per il 1960) e un modo anticonformista di seguire il corso degli eventi che la accomuna alla Muriel di Turista per caso. Gli Emerson si aggrapperanno a lei, chi amandola, chi odiandola, chi provando perplessità nei suoi confronti, tutti coinvolgendola comunque nei loro problemi. Elizabeth è un personaggio di paradossi, porta caos e ordine insieme, diventa il centro dell’attenzione altrui ma fugge dai legami, è una figura materna ma dai modi adolescenziali. Un altro personaggio indimenticabile nel mondo di Anne Tyler, un’altra storia capace di spezzare il cuore e ispirare speranza subito dopo.

Thursday, June 26, 2008

Richard Mason
Le stanze illuminate
Einaudi, pp. 495, € 18,50
Traduzione di Giovanna Scocchera

Richard Mason, ex-enfant prodige della letteratura anglosassone, ritorna a quasi dieci anni dal fortunatissimo esordio con Anime alla deriva, portentoso mix di romance e thriller, e dopo un secondo romanzo meno appassionante, Noi, penalizzato dalla riscrittura a uso del mercato statunitense.
Con The Lighted Rooms lo scrittore di origine sudafricana torna in gran forma, dando sfogo a un'immaginazione curiosa e osservatrice che sa mettersi al servizio dell'oggetto della narrazione. Mason è evidentemente attratto dalle storie di ampio respiro, in cui il passato e il presente dialogano in una ideale circolarità e la finzione non prescinde né dalla realtà presente né dalla memoria storica. E' evidente nella vicenda dell'anziana Joan, l'atipica eroina del romanzo, che prima di concludere la propria vita in una lussuosa casa di riposo visita insieme alla figlia i luoghi della propria giovinezza in Sudafrica. Per una serie di coincidenze, verrà a conoscenza della storia tragica della propria famiglia negli anni della guerra anglo-boera, e nella sua mente minata dall'Alzheimer il passato inizierà a rivivere confondendosi con il presente, le vicende personali con quelle di altri oscuri personaggi. Mentre in Joan si alternano il sollievo dell'immaginazione e l'angoscia per orrori lontani e non, il suo rapporto con la figlia Eloise, carrierista con qualche conto ancora in sospeso con la vita, trova un nuovo e più sincero modo di essere.
Mason crede profondamente nel compito dello scrittore: documentatosi su autentici diari del tempo della guerra, si fa testimone di storie che altrimenti andrebbero perdute. Racconta i propri personaggi con compassione, acume e ironia, senza temere né il romanticismo né l'assurdo. Unico difetto nella sua scrittura è la tendenza a certe facili soluzioni narrative, le coincidenze un po' implausibili, la positività a tutto tondo di certi personaggi di contorno, che nonostante ciò non minano la compattezza di un romanzo quasi perfetto, impossibile da trascurare.