Patrick McGrath
Trauma
Bompiani, pp. 252, € 17
Traduzione di Alberto Cristofori
Non è facile parlare di questo ultimo romanzo di McGrath. Si tratta della storia di Charlie Weir, psichiatra dedicato ma dalla vita privata travagliata, negli anni Settanta: segnato da rapporti conflittuali "da manuale" con la madre abbandonata dal marito e con il fratello con cui è in competizione, persegue da sempre lo scopo di salvare anime umane, scopo in cui fallisce secondo una tragica ironia quando non riesce a evitare il suicidio del cognato, e anzi se ne ritiene responsabile. Una tipica storia alla McGrath sul male di vivere e sulla ricerca di una cura, di un ordine al caos, che altro non è che lo scopo della narrativa stessa. Con Trauma, l'autore procede nella personale reinterpretazione del gotico, categoria dell’anima ancor più che genere letterario, capace di resistere a mutamenti epocali e di non perdere nei secoli la dimensione intima e la cupa fatalità che la caratterizzano da Walpole in poi.
Anche in questo ultimo lavoro il clima gotico scaturisce da uno stile piano, naturalistico, apparentemente senza possibilità di equivoco, priva delle ambiguità di una storia di spettri. Ma il romanzo, come altri dell'autore, è raccontato in prima persona e da questo dipende la posizione problematica del lettore, alle prese con un narratore potenzialmente inattendibile. Quanto inattendibile? Il finale giunge quasi affrettato, avulso dal resto della storia: proiezione onirica oppure unica parte reale dell'intera storia? A complicare la fruizione, la quarta di copertina dell'edizione italiana racconta quello che di fatto è uno spoiler della trama e di cui non c'è traccia nella storia narrata da Weir.
Cosa segna dunque il confine tra le sfumature dell'ambiguità veicolate da un sapiente narratore e l'incomprensibilità pura, se a chi legge non viene dato un appiglio, una chiave di decifrazione che spicchi su altri elementi? O forse il genio sta nel fare piazza pulita delle "mappe" che solitamente lo scrittore offre al lettore, offrendogli la visione della nuda coscienza umana? Il fallimento o il trionfo dell'arte della narrativa?
Trauma
Bompiani, pp. 252, € 17
Traduzione di Alberto Cristofori
Non è facile parlare di questo ultimo romanzo di McGrath. Si tratta della storia di Charlie Weir, psichiatra dedicato ma dalla vita privata travagliata, negli anni Settanta: segnato da rapporti conflittuali "da manuale" con la madre abbandonata dal marito e con il fratello con cui è in competizione, persegue da sempre lo scopo di salvare anime umane, scopo in cui fallisce secondo una tragica ironia quando non riesce a evitare il suicidio del cognato, e anzi se ne ritiene responsabile. Una tipica storia alla McGrath sul male di vivere e sulla ricerca di una cura, di un ordine al caos, che altro non è che lo scopo della narrativa stessa. Con Trauma, l'autore procede nella personale reinterpretazione del gotico, categoria dell’anima ancor più che genere letterario, capace di resistere a mutamenti epocali e di non perdere nei secoli la dimensione intima e la cupa fatalità che la caratterizzano da Walpole in poi.
Anche in questo ultimo lavoro il clima gotico scaturisce da uno stile piano, naturalistico, apparentemente senza possibilità di equivoco, priva delle ambiguità di una storia di spettri. Ma il romanzo, come altri dell'autore, è raccontato in prima persona e da questo dipende la posizione problematica del lettore, alle prese con un narratore potenzialmente inattendibile. Quanto inattendibile? Il finale giunge quasi affrettato, avulso dal resto della storia: proiezione onirica oppure unica parte reale dell'intera storia? A complicare la fruizione, la quarta di copertina dell'edizione italiana racconta quello che di fatto è uno spoiler della trama e di cui non c'è traccia nella storia narrata da Weir.
Cosa segna dunque il confine tra le sfumature dell'ambiguità veicolate da un sapiente narratore e l'incomprensibilità pura, se a chi legge non viene dato un appiglio, una chiave di decifrazione che spicchi su altri elementi? O forse il genio sta nel fare piazza pulita delle "mappe" che solitamente lo scrittore offre al lettore, offrendogli la visione della nuda coscienza umana? Il fallimento o il trionfo dell'arte della narrativa?
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